Lettera XII

Escursioni tra le colline – Gita con Pacchierotti - Prende
freddo sulle montagne – L’intera Repubblica è in

agitazione, e manda una delegazione a rimproverare il
Cantante per la sua imprudenza – Il Conte Nobili – Colline -
Castello principesco e Giardini della Famiglia Garzoni - Enorme
Statua della Fama – Boschetto di Agrifoglio – Infiniti vigneti -
Piacevole Bosco del Marchese Mansi – Ritorno a Lucca

Lucca, 25 Settembre 1780

Mi chiedi come passo il tempo. Di solito sulle colline, in selvaggi luoghi dove proliferano gli arbusti; da qui posso intravvedere il mare in lontananza; il mio cavallo legato ad un cipresso, e me stesso buttato sul prato come Palmerino di Oliva, con carta e penna in mano, un cesto d’uva da un lato, ed un bastoncino ricurvo per far cadere a terra le castagne.

Ho detto adieu, molti giorni or sono, alle visite, alle cene, alle conversazioni, e alle glorie della città, dove torno solo alla sera, per il tempo necessario alla gran marcia che precede il Quinto Fabio di Pacchierotti. Talvolta mi accompagna nelle mie escursioni, con sommo malcontento dei Lucchesi, i quali giurano che rovinerò la loro Opera, conducendolo in queste stravaganti camminate in mezzo alle montagne, ed esponendolo all’inclemenza dei venti e delle piogge. Un giorno essi si impegnarono in una veemente rimostranza, ma invano; il giorno dopo cavalcammo tra colli e valli, dove rimanemmo fino a sera: raffreddore e raucedine furono le conseguenze.

L’intera repubblica sprofondò nella depressione, e alcuni dei suoi primi ministri furono mandati a rimproverare Pacchierotti delle corse a cavallo di cui si era reso protagonista. Non avrebbero potuto berciare con maggior violenza: era come se la sicurezza dell’intero stato dipendesse dall’esito di questa imprudente escursione. Sai che sono piuttosto energico, e, a dirla tutta, avevo dato a tutto quel trambusto ben poca importanza, trascurando tutte le maledizioni del Gonfaloniere e del suo consiglio e dichiarando la mia intenzione di tornare, il mattino successivo, a cavalcare con il mio amico tra le nubi che velano le loro alture. Misi in atto questa terribile minaccia, e ieri abbiamo fatto un giro di circa trenta miglia tra gli altopiani, visitando una moltitudine di castelli e palazzi.

Il Conte Nobili, un nobile lucchese, nato nelle Fiandre ed educato a Parigi, fu il nostro accompagnatore. Possiede grande eleganza d’immaginazione e un alto grado di sensibilità,
raramente rintracciabile. Il viaggio con lui non fu noioso. Il sole era mitigato dalle nuvole leggere, e una lieve foschia autunnale si era posata sulle colline, coperte da arbusti e olivi. Le lontane pianure e foreste apparivano colorate d’azzurro, tanto che iniziai a pensare che il turchese così prevalente nei paesaggi di Velvet Breughel sia nulla al confronto.

Dopo aver cavalcato per sei o sette miglia lungo la campagna coltivata, cominciammo a salire un aspro pendio, ricoperto di castagni; molti tronchi e ceppi di antichi melograni intralciavano la nostra strada, che continuò serpeggiando attraverso quella regione selvaggia, sino ad aprirsi all’improvviso sul lato di una superba montagna cosparsa da boschetti, in mezzo ai quali si trova il principesco castello del Garzoni, a picco sul dirupo.

Alcina non avrebbe potuto scegliere un luogo più romantico. Il giardino si estende nella parte sottostante, allegramente fiorito, scintillante d’alberi, che, seppure non esattamente perfetti come gusto, colpiscono con un effetto d’incantamento sin dalla prima occhiata. Due grandi bacini marmorei, con jets d’eau di settanta piedi d’altezza, dividono le platee, dalle cui estremità si innalza una rude scogliera, ombreggiata di cedri e elci, a terrazze.

Lasciati i cavalli dal cancello d’entrata di questo magico dominio, passammo attraverso lo spruzzo delle fontane, e dopo aver salito una scalinata infinita, entrammo in un viale di aranci dove raccogliemmo frutta dagli alberi. Mentre eravamo intenti a fare ciò, il sole irruppe dalle nubi e illuminò il verde della vegetazione; al tempo stesso costellò le acque, che si riversavano copiosamente su una serie di terrazze di roccia, aspergendo i cedri di perpetua rugiada. Questi ruscelli provengono da una voragine nella rupe, circondata da cipressi, che nascondono con i loro rami un padiglione con delle terme.

Sopra s’innalza una colossale statua della Fama, audacemente scolpita nell’atto di saltare dal dirupo. Uno stretto sentiero conduce ai piedi della dea, davanti alla quale mi inchinai;
mentre una immensa colonna d’acqua s’inarcava sulla mia testa caddi nelle profondità, senza esser sfiorato da uno spruzzo.

Faticai ad avere la meglio su me stesso per abbandonare questo ritiro di frescura; la fragranza d’alloro e d’arancio, nutriti dalle costanti piogge, lo rendevano incredibilmente lussuoso. Alla fine acconsentii di andar via, attraverso una scura parete di agrifoglio, che, secondo il Signor Garzoni, cresce selvaggio. Questo bosco è sospeso sul lato della montagna, la cui vetta è rivestita da una sterminata foresta di olivi, e plasma, grazie alla sua flessuosità, un emozionale contrasto con la vegetazione rigogliosa della sua base.

Dopo aver riposato per pochi momenti all’ombra, proseguimmo per un lungo viale, orlato da aloe in fiore che formavano maestose piramidi di fiori alte trenta piedi. Questo ci condusse al palazzo. Poi montammo sui nostri destrieri, cavalcammo in mezzo a valli assolate e siepi di mirto, sinchè non arrivammo ai piedi di un’erta. Il calore ci attanagliava, così fummo lieti di rifugiarci sotto un pergolato ininterrotto di viti, che corre per miglia lungo la sua sommità. Queste pergole ci assicurarono ombra e frescura; mi lasciai cadere, stupito, come tutti i nativi del nord, non abituato a una tale abbondanza: come uno di quei Goti,
che Gray descrive così poeticamente,

scoprì la nuova fragranza del respiro della rosa,
e bevve con voluttà il nettare da cui proveniva.

Vorrei che anche tu avessi intrapreso il viaggio sotto questo fruttifero baldacchino, ed osservato la luce del sole che filtrava attraverso il fogliame trasparente, e i lampi di cielo azzurro che di tanto penetravano. In un giorno afoso come quello la verdeggiante oscurità prevaleva, squisitamente piacevole.

Ma una tale sontuosità non durò a lungo, come potrai immaginare. Fummo costretti a lasciare il nostro rifugio, ed obbligati ad attraversare una montagna completamente esposta al sole, che aveva nel frattempo disperso tutte le nubi, e che risplendeva con intollerabile ardore. Dall’altro lato dell’altura si trova un poggio circondato da prati boscosi. Distese di vigneti e campi di grano turco scorrono ininterrotte: in mezzo a questi il
Conte Nobili ci condusse alla sua dimora, dove trovammo pronta una squisita cena. Bevemmo il vino prodotto sul posto, che può tranquillamente battere ogni vino di Costantia.

In seguito ci ritirammo in un boschetto del Marchese Mansi, tra ruscelli cristallini e trasparenti rivoletti, prendemmo un caffè e oziammo sino al tramonto. Arrivò poi ora di tornare, visto che le nebbie stavano cominciando ad alzarsi dalle valli. La calma e il silenzio della sera ci fece sprofondare nelle nostre riflessioni. Conducemmo i nostri cavalli al pascolo senza udire altro suono, eccetto quello dei passi delle nostre cavalcature.

Tra le nove e le dieci entrammo a Lucca. Pacchierotti tossì, e metà della popolazione ci mandò mentalmente al diavolo.




Le mie pubblicazioni

A vostra disposizione le mie pubblicazioni, buona lettura!

La guerra delle razze

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