Lettera XVIII

Cattedrale di Siena – Una Camera a volta – Partenza da Siena -
Montagne intorno a Radiocofani – Palazzo infestato dei

Granduchi – Arcigna confraternita di gatti – Pauroso alloggio

Siena – 27 Ottobre 1780

Qui il mio dovere era naturalmente quello di ammirare la cattedrale, e mi svegliai molto più presto di quanto avrei voluto per adempiere questa missione. Immagino che i nostri santi antenati non abbiano scelto una montagna, l’abbiano scorticata di tabernacoli e poi cesellata. Sicuramente avrebbero faticato meno in tal modo piuttosto che costruire questo edificio che, dai moltissimi Italiani devoti allo stile più puro dell’architettura, viene considerato un’opera dal gusto ridicolo e assurdamente elaborato. La parte frontale, incrostata di alabastro, conta milioni di archi intarsiati e ornamenti cervellotici. Non si enumerano le statue e i rilievi senza capo né coda.

La chiesa, all’interno, altera marmi bianchi e neri; il soffitto blu e oro, con una profusione di stendardi di seta che pendono da questo; ed una cornice che corre sopra l’arcata principale, interamente formata da busti rappresentanti intere schiere di pontefici, dal primo Vescovo di Roma sino ad Adriano Quarto. Dicono che tra loro ci fosse stato anche papa Giovanni, tra Leone Quarto e Benedetto Terzo, sino all’anno 1600, quando alcuni autori sostennero che sia stato tolto, su Iniziativa di Clemente Ottavo, per far posto a Zaccaria Primo.

Non riuscivo a capire quale fosse la navata centrale o quali le navate laterali, di questo singolare edificio, così perfetta era la confusione delle sue parti. Il pavimento richiede attenzione, essendo intarsiato così curiosamente da rappresentare le storie prese dalla Sacre Scritture, e disegnato nello stile di quegli arazzi da folletti che affollano le pareti dei nostri antenati. Accanto all’altare si trova il più strambo dei pulpiti, supportato da raffinate colonne di granito che nascono dalle schiene di leoni utilizzati come piedistalli. In ogni angolo di questo luogo qualche luccicante cappella vi offende o vi stupisce. Tuttavia, quella della famiglia Chigi dev’essere venerata con rispetto per il suo disegno e la sua esecuzione; ma sembra fuori luogo in quel caos di capricci e fronzoli.

Dalla chiesa entrai in una camera a volta, eretta dai Piccolomini, piena di messali squisitamente illuminati. Le pitture in fresco sulle pareti sono abbastanza barbariche, sebbene eseguite su progetto del possente Raffaello; ma dobbiamo ricordare che risalgono al periodo in cui era appena fuggito da Pietro Perugino.

Lasciammo Siena alla buon’ora, non avendo altro da fare nel Duomo; dopo essere stati scossi e fatti ruzzolare tra le peggiori strade che mai hanno avuto la pretesa di essere usate, ci ritrovammo sotto alle rudi montagne intorno a Radiocofani, verso le sette, in una sera gelida e tetra. Ci affaticammo a salire un’erta scoscesa, e raggiungemmo infine una locanda sulla sua sommità. Trasalii quando entrai in questo esteso complesso di appartamenti con i soffitti neri, che si diceva essere stato il palazzo dei Granduchi, ora infestato dai fantasmi e desolato.

Si alzò il vento, ogni porta cominciò a sbattere e ogni asse che sostituiva le finestre prese a sbattere, come se l’austera divinità che abitava sulla cima più alta di Radiocofani, in pieno accordo con i suoi mitologi del villaggio, stesse arrivando a farci visita.

Il mio unico sortilegio per tenerla distanza consistette nell’accendere un enorme fuoco, i cui caritatevoli barlumi rinfrancarono il mio spirito, e contribuirono a far riprendere le mie membra. Tuttavia, per alcuni minuti, non finii mai di osservare, ora a destra, ora a sinistra, ora in basso, ora in alto, ora nei punti dove il pavimento sembrava rotto in molti punti, sembrando indicare che qualcosa di orrido si celava là sotto.

Una arcigna confraternita di gatti si mise a spazzare i corridoi del palazzo, tanto che la mia mente immaginò la scena di un sabba delle streghe. Non avendo coraggio di avventurarmi per esplorare le altre parti del maniero, mi affettai verso la mia camera, misi il letto davanti al focolare che luccicava di braci, e scivolai sotto le coperte: faticai ad addormentarmi per paura di venire destato all’improvviso da non so quale terribile rito d’iniziazione nei misteri di quel luogo.

Non mi ero ancora sistemato, quando due o tre gatti della confraternita summenzionata cercarono di entrare da una piccola apertura sotto alla porta. Sostenni il loro assalto, poi
mi sorpresi quando arrivò la mezzanotte, di non udire altro che il loro dolente miagolio echeggiato dalle pareti e dagli archi.



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