La parola putrefazione deriva, naturalmente, dal latino. Precisamente dal verbo putere, che significa puzzare, e facere, cioè fare. Letteralmente, quindi, “fare puzza”. L’Impero Romano d’Occidente, nel 476 dopo Cristo, aveva raggiunto la sua putrefazione.
La decadenza aveva toccato tutti gli ambiti del mondo romana: economia, esercito, società, cultura. Tutti gli ambiti erano degradati, cioè peggiorati. Andiamo ad analizzarli uno per uno, in modo da focalizzare in quale humus si sarebbero dovuti muovere i futuri colonizzatori della nostra penisola.
ECONOMIA
Il male originario dell’Impero d’Occidente, a partire dal III secolo d.C., fu l’instabilità politica. Un po' come il moderno spread, il valore della moneta romana calò sempre di più a causa dei rivolgimenti militari e delle conseguenti, numerose, anarchie militari. La popolazione cominciò a disprezzare la valuta corrente perché precaria e a rivolgersi al baratto. La pietra tombale, o meglio la sentenza finale, fu l’Editto dei Prezzi di Diocleziano. L’imperatore illirico affrontò l’inflazione in una maniera utopistica, da soldato senza il minimo raziocinio. Fece coniare gli aurei, delle monete di basso peso (5,45 grammi), e gli argentei, di ancor più basso peso (3,41 grammi): erano delle “patacche”, ma lui pretese che i cambiavalute gli dessero credito, garantendo in cambio oro e argento. L’obiettivo era di far ripartire l’economia immettendo sul mercato denaro fresco. Peccato che il valore di questo denaro fresco era immensamente più alto di quello delle sue monete, e i banchieri lo capirono.
Non solo. L’editto stabiliva i prezzi massimi per ogni singola merce, ma anche dei tetti agli stipendi delle varie categorie sociali. I soldati, non a caso, videro aumentati i loro stipendi, mentre, ad esempio, gli insegnanti venivano pagati in base al numero dei loro alunni. Ne consegue che vi fu una paralisi a livello di scambio monetario: il “potere d’acquisto” per certe categorie di persone era addirittura aumentato, ma nella pratica questo non si tradusse in un aumento dei consumi, in quanto valore reale della valuta era precipitato. Da ciò derivò una stagnazione dei commerci e degli scambi, sino a creare una situazione di cristallizzazione finanziaria che ebbe l’effetto opposto rispetto a quello voluto da Diocleziano: in luogo delle monete si adottò, in moltissime parti dell’Impero, il baratto come forma di scambio commerciale.
A questa “cristallizzazione” si aggiunse anche la riforma fiscale voluta da Diocleziano, che prese il nome di iugatio-capitatio, e che sancì, nella pratica, la nascita della servitù della gleba. Il nuovo sistema combinava l’imposta sulle rendite dei fondi (la iugatio), con le imposte sulle persone fisiche (la capitatio). L’imperatore romano modificò i valori di ogni singola iugera (valutate in base al tipo di coltivazione, al rendimento e al fabbisogno di quel determinato prodotto in quel determinato territorio) e di ogni singola capita (il cui valore era stimato sulla percentuale di forza lavoro umana e animale in una provincia, in una diocesi o in una città). Si formava così un catasto che annoverava indistintamente uomini, bestie e terreni.
Dulcis in fundo, i centri nevralgici dell’impero, cioè le città (i Romani, popolo di colonizzatori, ne avevano fondate ovunque), erano in crisi profondissima. Le sempre più frequenti guerre e incursioni barbariche facevano preferire una dimora di campagna, trasformata in castello, ai nobili e ai ricchi commercianti, che si circondarono di guardie personali e contadini a loro totale disposizione. Queste case coloniche diventavano dei veri e propri universi chiusi e totalmente impermeabili a innovazioni e miglioramenti tecnologici, oltre che agli scambi commerciali. Uno dei tratti principali dell’Alto Medioevo, la preferenza della campagna alla città, nacque proprio nel III secolo d. C.
ESERCITO
Diocleziano introdusse per la prima volta nella storia di Roma imperiale la suddivisione del potere per meglio controllare le varie province, soprattutto quelle più esterne e maggiormente minacciate dai barbari. Così creò prima due Augusti, poi due Cesari, cui furono assegnati dei territori da governare e che sarebbero divenuti la principale fonte delle guerre civili romane dal III secolo in avanti. L’obiettivo dell’imperatore illirico era quello di decentrare il potere dando importanza alle sedi distaccate (Nicomedia, Treviri, Sirmio e Milano) e nel contempo togliendolo completamente all’odiata Roma e al Senato.
Questo cambiamento portò ad una maggiore indipendenza dei generali dell’esercito, che fino a quel momento erano in tutto e per tutto “schiavi” dell’aristocrazia della capitale.
Diocleziano decise anche di aumentare il numero di soldati stanziati ai confini dell’Impero, soprattutto in Germania e nell’odierno est Europa, privilegiando naturalmente ufficiali illirici a lui fedeli. Rinforzò i castelli e le fortezze più esposte ai pericoli di invasione straniera, migliorò i sistemi di comunicazione tramite la costruzione di strade, taverne, stazioni di posta e torri d’avvistamento. Fu l’unica riforma dioclezianea che davvero migliorò il sistema romano.
SOCIETA’ E CULTURA
All’inizio del capitolo abbiamo parlato di “putrefazione”. Dobbiamo continuare a farlo anche riguardo alla società del Tardo Impero Romano. Una società composta da una minoranza di aristocratici che non volevano più combattere, che non desideravano dare i propri figli all’esercito, ma che nel contempo non sopportavano di vedere dei barbari ai posti di potere, come Stilicone, Ricimero, o addirittura illirici come Ezio. Erano i cosiddetti optimates del glorioso tempo della repubblica, divenuti ora imbelli amministratori dei propri patrimoni dediti alle orge, ai vizi e all’indolenza. Novelli Nerone e Caligola, sembravan usciti da un Satyricon petroniano. Come anticipato prima, avevano paura della loro ombra, e le città (divenute prede di saccheggi e razzie) non garantivano più la sicurezza in cui volevano vivere. Dovettero “riciclarsi” come nobili possidenti, andando ad abitare nelle campagne, dovendosi ingegnare nel far diventare le loro case delle fortezze o dei castelli, costretti ad assumere la plebe per svolgere i lavori di prima necessità e soldati da pagare per garantire la loro incolumità.
I pochi che rimanevano nelle corti di Ravenna o di Roma non facevano altro che tramare per garantire ai loro favoriti i ruoli migliori, e tra questi c’erano senz’altro anche dei barbari. Ricimero fu il primo, e l’unico, a passare da fantoccio a manipolatore. Stilicone, molto più “romano” di questi inetti, pur di origine vandala, subì una morte atroce proprio nel momento in cui Roma ne aveva più bisogno proprio a causa di una congiura. I nobili godevano di grandissimi privilegi, mentre la classe “media” formata da commercianti e professionisti era quasi sparita. Prestava servizio al latifondista e diventava parte della servitù della gleba.
La cultura del Tardo Impero, rappresentata quasi interamente da scrittori cristiani, anticipa il prossimo argomento, che sarà quello conclusivo di questa disamina preliminare della situazione romana al 476 dopo Cristo.
LA RELIGIONE
Il Cristianesimo si impose gradualmente, lentamente e inesorabilmente nell’Impero Romano d’Occidente morente. La setta che era stata fondata da un oscuro predicatore nella lontana Palestina aveva fatto proseliti soprattutto tra i soldati: forniva loro una speranza per l’aldilà e la certezza di essere tutti uguali, dall’ultimo degli schiavi all’imperatore di turno. Costantino protesse la nuova religione non perché ci credeva, ma perché i suoi soldati avevano bisogno di credervi. I suoi soldati rischiavano la vita per lui in ogni momento, e spesso per una causa che a loro interessava poco o nulla. Quei soldati avevano bisogno di un rifugio mentale, di una religione diversa dal politeismo dei nobili romani. Bacco, Poseidone, Venere, Marte, e tutti gli dei erano, seppur umanizzati, pur sempre delle divinità spesso lascive, crudeli, ingiuste. I martiti e i santi che cominciavano ad affollare il pantheon cristiano, invece, erano uomini in carne e ossa, quasi sempre poveri, ma con una forza d’animo e delle virtù umane che facevano scomparire quelle divinità classiche, spesso effemminate e così lontane dalla gente comune.
I Cristiani erano generalmente incorruttibili, fedeli, coraggiosi. Tutte caratteristiche richieste sia ai soldati semplici sia agli amministratori pubblici. Costantino, Teodosio e via via tutti gli imperatori romani della tarda antichità riconobbero la necessità di asportare il bubbone del politeismo e di introdurre un nuovo, unico, Dio. La parentesi di Giuliano l’Apostata diviene, in questo quadro, un ultimo, splendido, mosaico della morte degli dei classici.
In più, le varie chiese sparse per il territorio romano stavano cominciando a divenire d’importanza capitale per la gestione delle anime ma anche dei corpi dei Romani. Quando incominciarono a calare le prime orde di barbari, furono i preti cristiani a prestare gli unici “aiuti umanitari” alla popolazione inerme. Naturale che questa popolazione non avesse dubbi su chi scegliere tra la bellissima ma inutile Venere e il Dio dei Cristiani, che richiedeva grandi sacrifici ma al quale ci si poteva sempre appellare.
Ci vorrà la nascita di una nuova entità, il Comune, per mettere in discussione il potere clericale sulla società medioevale. Nel 476 d.C., anno dal quale ora riprendiamo le fila del nostro racconto, Odoacre doveva interloquire soprattutto con quei Cristiani, il Papa di Roma in primis, per governare l’Italia.
La parola putrefazione deriva, naturalmente, dal latino. Precisamente dal verbo putere, che significa puzzare, e facere, cioè fare. Letteralmente, quindi, “fare puzza”. L’Impero Romano d’Occidente, nel 476 dopo Cristo, aveva raggiunto la sua putrefazione. Leggi tutto »
Spesso si considera Odoacre, il primo effettivo re d’Italia, come un sovrano di poco conto, un mero passaggio tra il piccolo Romolo Augustolo e il regno ostrogoto. In realtà il dominio del sovrano erulo fu decisivo per tre ragioni. Leggi tutto »
Il popolo che Teodorico si apprestava a guidare verso la più grande impresa della sua Storia era variamente composto. Si trattava di un ceppo della grande famiglia dei Goti che Tacito prima e Giordane poi rappresentavano come il nucleo fondamentale dei barbari. Leggi tutto »
Teodorico aveva una sola figlia, Amalasunta, nata nel 495, che dunque salì al trono trentunenne. La sua doveva essere solo una reggenza in nome e per conto del figlio, Atalarico, legittimo erede che però aveva solo dieci anni. Leggi tutto »
Negli ultimi suoi attimi sulla terra, il 14 novembre del 565, Giustiniano poteva guardare il passato con la soddisfazione di aver realizzato tutti i suoi progetti. Leggi tutto »
Prima di proseguire con le vicende della nostra Italia, vale la pena soffermarci su quell’entità statale che continua a ricorrere ed influenzare le vite dei nostri antenati. Leggi tutto »
Riprendiamo ora le fila della nostra Storia da dove l’avevamo lasciata nell’anno 568. Leggi tutto »
Gabriele Pepe, come al solito ipercritico nei confronti dei “Barbari”, sostiene che “nei 15 anni di pontificato di Gregorio, i Longobardi, per nulla usciti dall’originaria barbarie, non avevano avuto altra storia che di guerre o tra di loro o per scacciare gli eserciti bizantini superstiti Leggi tutto »
Il primo problema che si pone per quanto concerne la storia degli Arabi è la mancanza quasi assoluta di fonti dirette nel periodo del loro massimo splendore, cioè i secoli VII e VIII. Leggi tutto »
Mentre gli Arabi conquistavano mezza Asia e l’Africa settentrionale, in Italia succedeva poco o nulla. Non era un male, anzi. Leggi tutto »
Se la Chiesa di Roma aveva aumentato in modo così esponenziale la sua influenza politica fu grazie soprattutto all’opera dei missionari cristiani che in quei secoli bui portavano un po’ di luce nella vecchia Europa imbarbarita. Leggi tutto »
Nei tre capitoli precedenti abbiamo un po’ divagato verso la Storia principale. Doverosamente, però. Gli Arabi saranno protagonisti da questo momento in poi anche delle vicende europee, e ancor di più lo diverranno nei prossimi secoli. Leggi tutto »
La politica di Liutprando era stata improntata sull’espansionismo e sulla affermazione della supremazia regia sul Papato. Leggi tutto »
Con la conquista di Carlomagno finisce la storia della dominazione longobarda in Italia. Si conclude un capitolo burrascoso che vide tre regni romano-barbarici succedersi in trecento anni con il breve intermezzo bizantino. Leggi tutto »
Dal 476 d.C., anno della caduta dell’Impero Romano d’Occidente, al 773, anno in cui i Franchi sconfiggevano i Longobardi mettendo fine al loro regno, l’economia della penisola italica non era cambiata quasi in nulla. Leggi tutto »
Se apprezzi il mio lavoro e vuoi contribuire al mantenimento del sito: effettua una donazione!!!
Non esitare... qualsiasi importo sarà gradito :-)