Capitolo Sesto - Costantinopoli

Prima di proseguire con le vicende della nostra Italia, vale la pena soffermarci su quell’entità statale che continua a ricorrere ed influenzare le vite dei nostri antenati.

In queste pagine abbiamo parlato di Giustiniano, Zenone, Teodora, Procopio. Ma cos’era e cosa rappresentava quella immensa città posta a guardia dell’Europa occidentale e del Vicino Oriente? Per quale motivo l’Impero d’Occidente era morto mentre quello d’Oriente viveva nello sfarzo, le sue città prosperavano e la sua cultura diventava sempre più florida?

Costantinopoli era nata come continuazione dell’Impero Romano e si sentiva sempre legata a Roma, anche se dal V secolo in avanti la considerava una specie di parente povera. La cultura e la lingua erano greche, non latine. Pur definendosi “romani”, gli abitanti della capitale erano un misto di sangue greco e orientale. I nobili ricordavano sempre che la loro città si chiamava Bisanzio, fondata nel 659 avanti Cristo da dei colonizzatori proveniente da Megara.
Costantinopoli non si dimentica mai la sua origine ellenista, che si innesterà perfettamente nell’altra grande civiltà del Mediterraneo, quella romana. E’il frutto, la sintesi di queste due anime.
L’Impero d’Oriente riuscirà a mescolare l’eccelsa cultura greca con l’organizzazione burocratica di Roma. Questo innesto si tradusse in una cosa molto terrena: tanto, tantissimo denaro. Un grandissimo afflusso di ricchezza arrivava perché le tasse erano esose ma nel contempo la produzione era sempre ad altissimi livelli.
Inoltre, ad Occidente ci si impoveriva culturalmente, ad Oriente ci si arricchiva. Ed una popolazione più colta era anche più incline ai miglioramenti tecnologici e sociali. Il fuoco greco, il prototipo della polvere da sparo, nacque intorno alla fine dell’VIII secolo proprio a Costantinopoli, anche se l’inventore era probabilmente egiziano. L’esercito bizantino fu sempre all’avanguardia sia nelle tattiche che nelle armi in dotazione. Ad Atene come a Nicea, ad Alessandria come a Gerusalemme, il contadino viveva meglio rispetto al suo “collega” dell’Occidente perché mangiava meglio e viveva meglio: quindi produceva di più.
Da buoni ellenisti, i Bizantini erano dei sofisti e dei filosofi. Ancora oggi si dice “bizantino” per intendere qualcosa di cavilloso, cattedratico. Le controversie religiose che sorsero in Oriente erano di pura lana caprina. Ma dimostravano che le elite avevano la pancia ampiamente piena per discutere di cose di poco valore pratico. E anche il popolino se ne appassionava.
Costantinopoli, la Nuova Roma, aveva poi un carattere cosmopolita offerto dalla natura del proprio territorio, che si innestava appunto tra l’Occidente e il Vicino Oriente. Se Roma e Ravenna erano diventate così “razziste” lo dovevano al loro provincialismo, lontane com’erano dalle grandi rotte commerciali. Costantinopoli, invece, aveva contatti con il mondo cinese, indiano, persiano, russo, arabo. Nei secoli si avvicendavano i mercanti e gli ambasciatori: formavano un piccolo universo di culture diverse. La capitale era un melting pot di razze e popoli. Un milione di persone, di piccole formiche, la rendevano la città più popolosa del mondo.
A corte il razzismo vi fu sempre. Aspar, Teodorico, lo stesso Zenone (che era isaurico) non venivano visti sullo stesso livello dei veri bizantini di sangue blu. Ma venivano accettati perché funzionali al “sistema”. Giustiniano, forse il più grande imperatore d’Oriente di tutti i tempi, era originario della Macedonia, una provincia poverissima. Questo dimostra che, se valevi qualcosa, a Costantinopoli ce la potevi fare. Non è una caratteristica di poco conto. Cambiare la leadership, variare il modo di concepire e trattare il potere, dialogare con altre culture, significa rinnovarsi e stare al passo coi tempi. Questo fece Costantinopoli nei secoli. Rimase al passo coi tempi, seppe cambiare per rimanere in vita. E infatti, rispetto al suo corrispettivo occidentale, l’Impero d’Oriente durò un secolo in più. Ci sarà un motivo. Anzi, ce ne saranno molti.

Costantinopoli non aveva un nucleo, ma tre nuclei fondamentali, tre perni sui quali viveva e fioriva.
Il primo era naturalmente l’imperatore. Mentre alla Roma imperiale ci si era arrivati passando attraverso la Roma repubblicana, ad Oriente si conosceva una sola forma di governo: l’impero. L’imperatore è il delegato di Dio, il capo dell’esercito, il giudice e il legislatore sommo. Il basileus, com’era chiamato, era protetto in particolare dalla Vergine, la patrona della città. Il culto della personalità è di chiara origine orientale. Tutti i suoi sudditi, dal più abietto dei servi fino al Patriarca, sono suoi schiavi. Il cerimoniale di corte era quanto di più complesso si poteva immaginare. Durante le udienze veniva issato su un trono gigantesco e da lì riceveva i suoi ospiti, che dovevano sottoporsi alla proskynesis, cioè dovevano inginocchiarsi davanti a lui. Più che un imperatore romano, era un satrapo persiano, oppure un diadoco di alessandrina memoria.
Un senato c’era, ma non aveva potere. Forse nelle province conservava voce in capitolo, ma non nella capitale. I suoi membri venivano quasi sempre dalle famiglie nobili ed erano ricchi all’ennesima potenza: possedevano illimitate tenute in diverse parti dell’Impero, dove naturalmente non mettevano mai piede visto che dovevano rimanere in Costantinopoli a godersi la bella vita ma anche a difendersi dai frequentissimi intrighi di corte. Dal VI secolo in avanti si chiamavano gloriosi al posto degli illustres di romana memoria.

Veniamo al secondo caposaldo. Teoricamente allo stesso livello del senato, ma in realtà molto più importante, era la corte dell’imperatore. La difficoltà più grande doveva essere quella di muoversi nel complesso cerimoniale. C’erano cariche di tutti i tipi, che nei secoli continuarono a variare e a rinnovarsi. Il minimo comun denominatore era uno solo: l’intrigo. I cortigiani imperiali potevano fare la fortuna di un uomo, portarlo sul trono e renderlo imperatore: ma potevano anche farlo uccidere di punto in bianco e sostituirlo con un altro. Procopio, che abbiamo incontrato come fonte storica, è il prototipo di questo cortigiano: mellifluo e prostrato al suo signore di giorno e serpente velenoso di notte, autore delle Storie Segrete.
La vita sfarzosa della corte si svolgeva nel Palazzo Sacro, o Sacro Cubicolo (in greco sacro kouboukleion), un enorme complesso formato da circa cinquecento sale dove trova posto anche il gineceo. Come si capisce, gli Arabi si trovarono già a loro agio quando conquistarono Costantinopoli nel 1453. Nei primi tempi la quantità di donne non fu così “scandalosa”, ma con l’andare dei secoli aumentò sempre di più.

E poi ecco il terzo perno. La religione cristiana era sempre venerata: anzi, ostentata. Il Sacro Palazzo brulicava di reliquie sempre nuove: il legno della Croce, gli scheletri dei martiri, i capelli o i denti dei santi, tutto faceva brodo. Siccome la cultura era quella ellenistica, possiamo intravvedere una certa somiglianza tra un santo e un dio greco. Ogni santo aveva la sua specializzazione: Cosma e Damiano erano esperti in medicina come Asclepio.
Quanto effettivamente gli abitanti della capitale ci credessero, è da discutere. Probabilmente era una sorta di adorazione acritica, senza pensarci troppo. Ma quando qualcuno toccava qualche dogma, erano dolori. Per le eresie potevano scatenarsi guerre civili e rivolte. Le fazioni dell’Ippodromo, gli Azzurri e i Verdi, erano divisi dalle diverse tendenze religiose: per loro era un pretesto come un altro per menare le mani, ma in fondo ci credevano davvero. E poi, come anticipato, c’era la Vergine. Sopra ogni altro santo, martire, anche sopra la Trinità. Le chiese più belle sorsero dedicate a Lei.

A vegliare sull’imperatore, sulla corte e sulla Vergine Maria c’era naturalmente l’esercito. Indubbiamente il più forte ed organizzato sin dal IV secolo d.C., lo rimarrà almeno fino al 1200. Entrare a farvi parte era il sogno di ogni uomo bizantino, dalla Tracia all’Egitto, dalla Mesopotamia alla Palestina. Anche i barbari ambivano ad arruolarsi. La storia bizantina è piena di magister militum di origine non bizantina. Narsete era nato in territorio persiano, Aspar era un alano, Mundo era figlio di un re dei Gepidi. A differenza dell’Impero Romano, dove Stilicone fu ucciso perché di origini vandale, a Costantinopoli non si guardava al luogo di nascita se si era efficienti e strumentali alle vittorie dell’Impero.
Arrivare ai vertici dell’esercito era difficile, ma tutti potevano fare carriera. Belisario, forse il generale più importante della storia bizantina, veniva da un’oscura cittadina dell’Illirico. Maurizio, che diverrà anche imperatore, era nato in Cappadocia. Zenone stesso era isaurico. Narsete, oltre ad essere persiano di nascita, era anche un nano e un eunuco: eppure abbiamo visto come prese in mano un esercito bizantino allo sfascio, in Italia, e lo portò alla vittoria grazie al suo genio tattico. Certamente tutti ebbero difficoltà a destreggiarsi tra le trame e le congiure della corte, certamente incontrarono il razzismo, certamente ebbero problemi “di integrazione”. Ma nonostante tutto riuscirono ad assolvere il proprio compito per l’imperatore, per l’Oriente, per la Vergine.
I generali di Costantinopoli furono il successo dell’Impero d’Oriente. I generali di Roma e Ravenna furono la causa dell’instabilità e poi della caduta dell’Impero d’Occidente.
L’esercito era formato da una buona fanteria suddivisa in pesante e leggera, e da un’ottima cavalleria, nella quale trovavano posto anche Unni, Alani, Eruli e Goti. L’arciere era considerato una parte fondamentale dell’apparato militare, come abbiamo visto nella vittoria decisiva contro Totila. C’erano anche gli arcieri a cavallo, che lanciavano frecce o lance. Due erano i modi di usare l’arco: alla romana con tiri più lenti e ragionati, alla persiana con tiri veloci, frequenti ma meno precisi.
I limitanei, o soldati di confine, avevano il compito più delicato: custodire le frontiere. Venivano spesso pagati non in monete ma in terra da coltivare. Erano dei reparti molto border line perché agivano spesso con regole proprie, non sempre in linea con quelle dell’esercito regolare. Ma nel complesso costituivano un argine imponente per bloccare i primi attacchi dei nemici. I buccellarii invece facevano parte dell’elite militare: erano soldati scelti direttamente dai generali, una sorta di reparto speciale molto coeso e fedelissimo al loro leader. La coscrizione, generalmente, era volontaria. Non ci fu mai bisogno di leve di massa, proprio perché entrare nell’esercito bizantino veniva considerato un privilegio e non una coercizione.
Questo esercito tenne a bada l’impero persiano, quello arabo, i vari khanati russi e i popoli barbari dell’est Europa. Le armate dell’Impero d’Occidente dovettero “solo” affrontare dei barbari, che non potevano essere confrontati, ad esempio, con i Persiani, che avevano alle spalle una tradizione militare infinitamente superiore: e uscirono sconfitte. Giustiniano, nei suoi anni di regno, riconquistò l’Italia e l’Africa e mantenne il controllo della parte orientale del territorio bizantino. Prosciugò le casse statali, è vero, ma le rimpinguò subito dopo.
Accanto all’esercito, anzi innestata nell’esercito, era la diplomazia. I diplomatici bizantini seppero districarsi abilmente tra tutti i vari popoli con cui venivano a contatto. Furono dei maestri della trattativa nell’ottenere ciò che volevano. L’astuzia, non solo la forza bruta, faceva parte del DNA dell’Impero Romano d’Oriente.

L’economia dell’Impero Bizantino era basata su un sistema tributario rapace ma efficace. L’annona era la fonte principale delle entrate e veniva determinata dalla iugatio-capitatio, la combinazione del tributo personale e del tributo fondiario, cioè della terra. Le unità tassate erano due: l’appezzamento di terreno in base alla sua grandezza e produttività (lo iugum) e l’uomo che lo coltivava (il caput). La base imponibile si otteneva quindi dalla determinazione di quanto e di cosa rendeva la terra in base al numero dei coltivatori. Tale sistema tendeva a vincolare il caput allo iugum, cioè il contadino alla terra: da qui la nascita dei servi della gleba.
Nonostante queste premesse, il contadino dell’Impero d’Oriente non era povero come il suo corrispettivo occidentale. Le tecniche di coltivazione erano molto migliori e quindi la terra rendeva di più: questo perché il territorio fu meno soggetto a devastazioni e carestie, almeno sino all’anno Mille, quando i nemici si moltiplicarono. La sicurezza era la vera chiave della produzione, che poi era anche legata al consumo e all’aspettativa di vita del singolo contadino. Servi della gleba, certamente, ma molto meglio nutriti e forti rispetto ai colleghi occidentali.
Ma l’Impero Bizantino si basava soprattutto sul commercio, la vera pietra miliare dell’economia. Mentre in Europa era quasi sparito, in Oriente rimase, anzi proliferò. Giustiniano diede l’avvio ad una vera e propria Via della Seta con l’India e la Cina. Fu introdotto l’uso del baco soprattutto nel Peloponneso, regione molto ricca. Tutto il litorale palestinese, da Antiochia a San Giovanni d’Acri, brulicava di mercanti di lino, cotone, derrate alimentari, profumi, spezie. Trebisonda e Sinope, sul mar Nero, accoglievano i cargo provenienti dalla Russia. Alessandria, in Egitto, era una delle perle dell’Oriente: faceva concorrenza alla capitale in quanto a commerci, bellezza e ricchezza diffusa. L’Africa, un tempo il granaio di Roma, era diventato quello di Costantinopoli.
Mentre l’Occidente si atrofizza nel feudalesimo, l’Oriente allarga i suoi confini.

Le mie pubblicazioni

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La guerra delle razze

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