Viaggio in Italia - Tobias Smollett
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Tobias Smollett (1721-1771) nacque in Scozia, precisamente nella regione che attualmente prende il nome di West Dunbartonshire. Figlio di un giudice ricco possidente terriero, studiò presso l’università di medicina di Glasgow, tuttavia la sua passione fu sempre quella di scrivere. Per questo si trasferì a Londra nel 1739, ma non trovò la fortuna che cercava. Deluso, ottenne un impiego come medico su una nave britannica che faceva vela per la Giamaica, dove visse per molti anni. Nel 1742 fu testimone, sempre su un’imbarcazione di Sua Maestà, della disastrosa campagna di Cartagena, nell’attuale Colombia.
Le sue opere principali sono quelle di genere picaresco: Le avventure di Roderick Random, Le avventure del pellegrino Pickle e Le avventure di del conte Ferdinand Fathom.
I suoi Viaggi in Francia e in Italia costituiscono uno spaccato di un grand tour di un nobile britannico del XVIII secolo: pieno di sé, borioso, consapevole della sua superiorità rispetto ai Francesi e agli Italiani.
In particolare analizziamo qui il suo viaggio in un’Italia in piena decadenza, divisa in molteplici stati e staterelli, quasi priva di collegamenti stradali degni di questo nome. La nostra nazione viene descritta in ogni sua sfaccettatura: dal punto di vista sociale, paesaggistico, monumentale. Smollett non tralascia nulla, vuole presentarla al suo interlocutore (un altro nobile inglese) sotto la luce più veritiera possibile. Il problema è che il suo metro di giudizio è davvero ingrato per un’Italia letteralmente in rovina. Troppo ampie ormai le differenze tra un nord Europa protestante, avviato verso la prima rivoluzione industriale, ricco, potente, padrone di innumerevoli territori in quattro continenti, rispetto al nostro paese, regredito e rinchiuso in sé stesso.
Non risparmia mai attacchi agli Italiani, ch’egli disprezza profondamente. Una menzione particolare, a Roma, la riserva anche agli antichi Romani, che giudica sempre con il suo metro odierno. La sua non è che la cronaca del suo viaggio in Italia, non pretende di essere l’unico e vero spaccato dell’Italia del Settecento. Tuttavia rimane una delle testimonianze più vivide e colorite del grand tour.
A differenza di Beckford, Smollett è un osservatore attento alle consuetudini, alle economie, alle cose pratiche. Non è solo destruens: molte parti del suo resoconto sono dedicate ad ipotetici consigli agli amministratori pubblici italiani per migliorare la loro situazione economica, logistica o sociale. Si dimostra, in questo, obiettivo e arguto, e non soffre mai di un bencheminimo complesso d’inferiorità verso quei monumenti, quegli splendidi residui del passato, che invece ipnotizzeranno molti nobili ed artisti stranieri. Egli ha la piena coscienza che sta osservando delle cose bellissime, stupende. Ma le osserva come uno spettatore in un museo, dall’esterno, senza entrarci dentro, senza viverle. Quando guarda i quadri è razionale, non si fa trasportare quasi mai da emozioni forti: e, quando gli succede, subito riprende il suo tono critico-cronachistico.
Smollett, in breve, è un grandissimo cronista dell’Italia settecentesca, a differenza di Beckford, che invece ne diviene un bardo nordico soggiogato dalle bellezze della nostra patria.
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