Il rivoletto

Il rivoletto

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Questo piccolo rivoletto, che dalle sorgenti
di quel boschetto conduce la sua corrente,
che gioca per un poco sul declivio, e poi
serpeggia cinguettando tra le foreste,
spesso nelle sue acque gorgheggianti accompagnò
il mio piccolo piede, in quel tempo della vita nuova
in cui i boschi si vestivano dei verdi più lucenti,
e dai loro appartamenti d’occidente
le brezze più calde sospinte dal vento
alitavano tutt’intorno il rinnovato profumo dei fiori,
mentre i miei passi oziosi avrebbero volentieri deviato dalla strada di casa
per rimanere a giocare sui prati,
per decantare gl’inni di primavera del trebbiatore dalla pelle bruna,
per raccogliere la violetta appena nata,
con le gote in fiore e con il viso felice,
del tutto uguale a te, giovane dolce rivoletto.

E quando arrivarono i giorni della giovinezza,
ed io mi innamorai della fama,
puntualmente cercai i tuoi argini, e tentai di scrivere
i miei primi rozzi versi sulle tue sponde.
Le parole non possono descrivere quanto abbaglianti e liete
le scene della vita mi scorrono ora davanti agli occhi.
E poi le speranze di gloria, che
arrossarono di sangue le mie guance,
che m’infuocarono; io scrissi, su quel colle,
un nome che credevo non sarebbe mai morto.

Gli anni non ti cambiano. Sopra la tua collina
i vecchi e nobili aceri, ancora verdeggianti,
raccontano, nella grandezza della loro decadenza,
quanto veloci son passati gli anni,
da quando da bambino, un poco impaurito,
vagavo nell’ombra della foresta.
Tu, rivoletto sempre felice,
t’increspi, saltelli, cinguetti ancora;
e giocherellando con le sabbie che pavimentano
i tornanti delle tue onde argentee,
danzando al ritmo della tua selvaggia melodia,
ridi del trascorrere del tempo.
Gli stessi soavi suoni sono nelle mie orecchie,
quei dolci suoni che durante la mia infanzia amavo ascoltare;
le tue acque corrono sempre così limpide,
sempre così splendenti rilucono al sole;
così fresche e folte le macchie
d’erbe rigano le tue rive melmose;
qui la violetta, ammantata della soffice rugiada di Maggio,
s’innalza verso il cielo, triste e modesta;
florido nel mezzo della corrente più forte,
galleggia il crescione dalla radice sottile:
ed il bruno passero, nella tua valletta,
cinguetta ancora, allegro come sempre.

Tu non cambi – ma io sì, io sono cambiato,
da quando per la prima volta camminai sulle tue bellissime sponde;
e tu, serioso straniero, vieni a vedere
il luogo dei giochi della mia infanzia,
anche se non avrai nessun interesse
per colui che tanto tempo prima qui visse.
Le visioni della mia giovinezza sono passate -
erano troppo lucenti, erano troppo belle, per durare a lungo.
Ho provato il mondo – non veste più
i colori del romanzo che avevo imparato ad amare.
Eppure la Natura ha mantenuto la verità
che mi aveva promesso nella mia prima giovinezza.
La radiante bellezza sparsa
in tutte le opere di Dio,
mostra nella sua freschezza, ai miei occhi,
gli incantesimi che indossava nei giorni del passato.

Trascorreranno pochi e brevi anni,
ed io, tremebondo, debole, e grigio,
piegato verso la terra, in attesa di stringere
in un abbraccio fangoso le mie ceneri,
(sempre se l’oscura volontà del destino
consentirà alla mia vita di protrarsi così a lungo)
potrò venire per l’ultima volta ad ammirare
il ruscello preferito della mia giovinezza.
Allora in quei momenti ai miei occhi ormai spenti
risplenderanno le tue acque danzanti;
e sempre più fioco ricadrà sulle mie orecchie
il gioioso richiamo della tua cinguettante corrente;
eppure tu continuerai a scorrere felice e lucente
come quando incontrasti per la prima volta il mio sguardo di bambino.

Dormirò per sempre al tuo fianco,
mentre gli anni scivoleranno su di me,
ed i bambini sperimenteranno i loro primi giochi,
quando passerò dall’età canuta alla morte.
E tu, immutabile,
giocherai e risplenderai per sempre in questo luogo;
in mezzo a giovini fiori e tenere erbe
trascorrerai la tua infanzia eterna;
canterai per sempre in questa stretta valle,
prendendo in giro le sbiadite razze degli uomini.

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La guerra delle razze

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