Il cacciatore delle praterie

Il cacciatore delle praterie

Sì, ecco la libertà! – Questi cieli tersi
non furono mai macchiati dal fumo dei villaggi:
il vento profumato, che vola attraverso di essi,
è emanato da distese non solcate dall’aratro.
Qui, con il mio fucile ed il mio cavallo,
e colei che ha lasciato il mondo per seguirmi,
io mi stabilisco, laddove il rosso daino si ciba
nel deserto verde – dove io mi sento libero.

Perché qui le bionde savane non conoscono
barriere nei pascoli in fiore;
ovunque spirino brezze celestiali,
o si possano ammirare sprazzi di luce paradisiaca, io cammino.
Nei pascoli, sterminati come l’aria,
il bisonte è la mia nobile preda;
il saltellante wapiti, le cui corna squarciano
i rami degli alberi, cade sotto ai miei colpi.

Miei sono gli uccelli acquatici che urlano
dalla lunga schiera degli ondeggianti carici;
l’orso che entra nel mirino della mia arma,
invano si nasconde ai margini della foresta;
inutilmente il lupo rimane nascosto;
lo striato coguaro, che riposa
tra le frasche in attesa della preda,
muore nel momento stesso in cui decide di saltare fuori.

Con quale selvaggia crescita l’elmo ed il platano
estendono le loro enormi braccia attraverso la mia strada,
grigie, antiche, caricate da una calca
di piante, anch’esse enormi, e antiche, e grigie!
Liberi si perdono i limpidi fiumi, e non trovano
contaminazioni tra queste ombre e questi campi;
liberi nascono i fiori che profumano il vento
dove nessuna falce ha spazzato i campi.

Solo il Fuoco, quando i venti gelidi disseccano
la fitta vegetazione del terreno,
raccoglie qui la sua messe annuale,
con ruggito simile al suono della battaglia,
e con le frettolose fiamme che dragano la pianura,
ed i torrenti di fumo che zampillano verso i cieli:
incontro fiamme e ancora fiamme,
che di fronte alla mia porta si riducono e muoiono.

Qui, dagli oscuri boschi, l’antico passato
parla solennemente; ed io guardo
il futuro illimitato nel vasto
e solitario fiume, che si srotola dal mare.
Chi nutre le sue fonti di pioggia e rugiada;
chi muove, mi chiedo, la sua massa fluente,
e chi insegna alle viti circondanti, i cui bluastri
lucenti grappoli mi tentano quando passo vicino?

Immensi sono questi fiumi – il mio cavallo obbedisce,
vi s’immerge, e mi porta nella corrente.
Selvagge sono queste foreste – mi faccio strada nel dedalo
di giganteschi tronchi, senza chiedere una guida.
Io caccio sino a che l’ultimo raggio del giorno muore
sopra la valle boscosa e sulla cima erbosa;
e premurosa è la voce e felice lo sguardo
che mi accoglie la sera al mio ritorno.

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