Fonte, che sgorghi da questo declivio erboso,
il tuo vivace e fresco mormorio si confonde piacevolmente
con il rinfrescante suono della brezza sulla spiaggia
e su di me nel mezzogiorno. Tu non indossi più
il colore del tuo oscuro luogo di nascita; zampillando
dal rosso terriccio e dalle limose radici della terra,
sfolgori alla luce del sole. L’aria di montagna,
in inverno, non è più limpida della rugiada
che luccica sul fiore di montagna. E’così che Dio
regala, dal buio e dal fango, la purezza e la lucentezza.
Guarda questo intricato bosco sull’argine, al di sopra del
tuo bacino: guarda come le tue acque lo mantengono verde!
Perché tu nutri le radici della vigna selvatica
che serpeggia dappertutto, ed ai rametti
avvinghia forte i suoi grappoli. Là il cespuglio speziato leva
i suoi arpioni fronzuti; là il viburno,
dal pallido fogliame, innalza verso il sole
il suo anello di bacche verdi. Ed in mezzo
il cinguettante passero di castano vestito
vola furtivo, per paura che io possa notare il suo nido.
In passato eri diversa, prima che l’ascia
percuotesse le vecchie foreste. Allora canuti tronchi
di quercia, di platano, di noce, sopra di te sorreggevano
un possente baldacchino. Quando i venti di Aprile
soffiavano leggeri, l’acero esplodeva in una vampa
di fiori scarlatti. Il liriodendro, proteso verso l’alto,
apriva, negli effluvi di Giugno, la sua moltitudine
di calici dorati agli uccelli bisbiglianti
ed agli insetti dalle ali di seta.
Fragili arbusti crescevano sulle tue sponde in Primavera.
L’epatica spandeva le sue fioriture sorelle
del violetto più languido. Da qui il lupo dalle zampe veloci,
passava per lappare le tue acque e schiacciava i fiori
della sanguinaria, dal cui fragile gambo
le gocce rosse cadevano come sangue. Anche il cervo lasciava
la sua delicata impronta nel terriccio leggero e fangoso,
e sulle foglie cadute. L’orso dal passo lento,
in un mezzogiorno d’estate afoso come questo,
si fermava vicino al tuo ruscello, beveva e poi fuggiva via.
Ma tu hai delle storie che appassionano il cuore
con sensazioni più profonde; mentre ti guardo
queste si palesano davanti a me. Vedo lo scenario
un tempo canuto delle foreste; vedo
il guerriero Indiano, che una mano invisibile
ha abbattuto con una ferita mortale nel bosco,
strisciare lentamente verso il tuo ben conosciuto rivolo,
e spegnere la sua sete mortale. Ascolta, quel feroce lamento
che dilania il silenzio assoluto; è il grido
di guerra, ed una turba di uomini selvaggi
con le braccia nude ed i visi macchiati di sangue,
riempie la verde regione; le loro umili armi
si alzano, è un fiume di frecce e dardi;
ogni guerriero rende un albero il suo scudo, e ogni albero
rimanda il suo strale. La battaglia è crudele ma breve,
come la tromba d’aria. Presto i conquistatori
ed i conquistati svaniscono, mentre i morti rimangono
mutilati dalle asce di guerra. I possenti alberi
ritornano immoti, l’uccello spaventato torna indietro
e si liscia le piume; ma le tue dolci acque scorrono
cremisi di sangue. Poi, quando il sole tramonta,
nel crepuscolo sempre più intenso io intravvedo
figure di uomini che, rannicchiati, strisciano in silenzio
per portare via i loro morti. La pioggia del giorno successivo
laverà via i segni del combattimento.
Guardo ancora – un cacciatore ha costruito la sua capanna,
con pali e rami, davanti alla tua pozza cristallina,
mentre il mite autunno tinge le foreste d’oro,
e sparge la sua luce dorata. Sulla porta
l’uomo rosso trascina lentamente l’enorme orso
ucciso nel bosco di castagni, o fa cadere a terra
il cervo dalle sue forti spalle. Irsute pelli
di lupo e di coguaro pendono dalle pareti,
rumorosamente ridono le fanciulle Indiane dagli occhi neri,
che raccolgono, dalle fruscianti cataste di foglie,
le bianche nocciole del noce e la frutta scura
che cade dai lunghi rami del grigio noce cinerino.
Così trascorsero i secoli, ed ancora le foreste
fiorivano in primavera, ed arrossavano quando l’anno
diveniva più freddo, e scintillavano nelle piogge ghiacciate
dell’inverno, finchè l’uomo bianco brandì l’ascia
davanti a te – segnale di un grande cambiamento.
E allora tutto intorno si udì il crollo degli alberi,
che prima tremavano e poi cadevano sul terreno,
il muggito del bue, e le grida degli uomini che bruciavano
la boscaglia, o che laceravano la terra con gli aratri.
Il grano crebbe robusto e alto, e nascose con il suo verde
l’offuscato pendio della collina; file di mais appuntito
sorsero come un esercito fortificato; il grano saraceno
imbiancò immensi acri, addolcendo con i suoi profumi
il vento d’Agosto. Bianchi cottage furono
abbelliti con rose alle finestre; fienili da cui
proveniva alto e lacerante il canto del gallo;
pascoli dove nitriva e galoppava l’altezzoso cavallo,
e dove candidi greggi brucavano e belavano. Una ricca torba
di erba nacque dalle tue sponde,
punteggiata da bianchi trifogli. Ragazze dagli occhi blu
portavano secchi, e li riempivano dalla tua pozza cristallina;
e bambini, dalle guance rubizze e dai biondi capelli,
raccoglievano le primule scintillanti dalle tue sponde.
Da allora, quanti passi hanno camminato sul tuo territorio!
Sulle tue verdi rive, il boscaiolo delle paludi
ha posato la sua ascia, il mietitore della collina
il suo falcetto, per fermarsi ad assaggiare la tua acqua.
Il pescatore, stanco dal vagabondare nel tranquillo
mezzodi di Settembre, ha immerso la sua fronte accaldata
nella tua fresca corrente. Ragazzi urlanti, finalmente liberi
per una selvaggia vacanza, hanno bizzarramente modellato
in una coppa la foglia di tiglio ripiegata,
e bagnato il tuo cristallo scivolante. Di ritorno dalle
guerre, il soldato dal cimiero piumato al tuo fianco
s’è seduto e ha riflettuto su quanto bello possa essere abitare
in un luogo come questo, ed essere libero come te,
senza più dover sottostare a nessun ordine. Alla sera,
quando tu e il cielo vi coloravate di cremisi,
gli amanti ti guardavano, e pensavano
che le loro vite intrecciate sarebbero scorse così calme
e lucenti come le tue acque. Qui il saggio,
guardando dentro alle tue profondità,
ha visto l’ordine eterno circoscrivere
e legare i moti dei cambiamenti,
e dallo zampillo della tua umile sorgente
ha ragionato sul possente universo.
Non c’è nessun altro cambiamento per te, che si cela
tra le ere future? Gli uomini non
cercheranno strani stratagemmi per inaridire e deformare
l’incantevole paesaggio che tu rendi verdeggiante?
O forse le vene che nutrono il tuo flusso costante
verranno strozzate dentro alla terra, e non scorreranno più,
così che le tue piante e le tue erbe
periranno, e gli uccelli invano accanto a te
si poseranno per abbeverarsi? Forse queste verdi colline
affonderanno, con il trascorrere degli anni, in un golfo
nell’oceano, e la tua sorgente si perderà
nell’acqua salata? O forse si solleveranno,
si alzeranno verso il cielo come aeree scogliere,
ripari per le aquile e per i serpenti, e tu
sgorgherai dalle erte brulle e sterili?