E' sempre arduo porre un inizio ed una fine alle storie. Soprattutto se, in questo caso, affrontiamo quella dell’Impero Romano.
A dir la verità, l’inizio è facilmente collocabile, ma solo dal punto di vista dell’evento leggendario: la fondazione di Roma nel 753 a. C. da parte di Romolo e Remo. In realtà si dovrebbe parlare di un processo lento che ha portato un piccolo villaggio a dominare prima la penisola, poi l’Europa ed infine tutto il mondo mediterraneo.
I Romani adottarono sin dall’inizio un atteggiamento di aperta ostilità verso i popoli confinanti. La loro arma segreta era la consapevolezza di essere superiori a tutti gli altri: il cittadino romano, secondo gli déi, era destinato a dominare. Questa idea di superiorità a tutti i costi è comune alle varie epoche di Roma, dal periodo regio alla Repubblica, dall’Impero all’Alto Medioevo. Ed ogni volta che i fatti dimostravano il contrario, si cercava un capro espiatorio ben preciso, un generale o un uomo di stato su cui addossare le colpe della disfatta.
Bisogna ammettere che sino al IV secolo d. C. le situazioni negative che richiesero questa assunzione di responsabilità univoca furono assai rare. Annibale detiene il primato di averne create il maggior numero.
La superiorità si dimostrava anche nella politica interna. Nessuno credeva che la Repubblica Romana sarebbe finita. Sembrava una costruzione troppo perfetta.
Ed invece, quando le sue istituzioni divennero troppo strette per generali e soldati, finì.
Fu un’evoluzione bagnata dal sangue di decine di migliaia di persone, nel corso di quasi due secoli. Gaio, Silla, i Gracchi, Giulio Cesare e Pompeo, Ottaviano: protagonisti molto diversi ma accomunati dalla stessa volontà di conquistare il potere senza passare da regole ormai obsolete, e percepite tali anche dalla popolazione.
Roma aveva inglobato la Grecia, il Medio Oriente, la Gallia, la penisola iberica, l’Africa e la Britannia. Era necessaria una modernizzazione, che coincise con una militarizzazione.
Dapprima il passaggio fu blando, con un princeps illuminato come Cesare Ottaviano Augusto. Successivamente, Caligola e Nerone dimostrarono i lati negativi del dispotismo. La pax antonina ridiede fiducia nelle istituzioni dopo un periodo di guerre civili. Traiano portò i vessilli e le aquile imperiali in territori sino a quel momento inesplorati, e regalò all’Impero la sua massima estensione. Marco Aurelio fu l’imperatore-filosofo, ma di una filosofia tipicamente latina: scriveva di accettare la morte stoicamente, come Socrate, ma in realtà non ne era per nulla convinto. Aureliano e Settimio Severo furono gli imperatori guerrieri, i primi uomini di provincia che difendevano Roma. Con Eliogabalo, infine, l’Impero entrò in contatto direttamente con quel modello di satrapo che ispirerà molti degli Imperatori d’Oriente, a cominciare dal più grande, Giustiniano.
All’incirca verso la metà del III secolo d. C. si assistette ad un cambiamento nel tipo di militarizzazione. Prima i grandi condottieri che prendevano il potere rimanevano inquadrati nell’ordinamento giuridico romano: erano trascinatori di folle e di soldati, abituati al campo di battaglia ma con un rispetto forte verso la romanità. Ora, al contrario, ci troviamo davanti (a parte illustre eccezioni, come quella di cui ci accingiamo a trattare ora) uomini senza scrupoli, avventurieri, barbari in cerca di gloria.
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