Sera - Poesia scritta da un sarto

Sera - Poesia scritta da un sarto

Il giorno ha appena indossato la sua giubba, ed intorno
al suo petto ardente si è abbottonato con le stelle.
Qui trovo il mio riposo sull’erba vellutata,
simile ad una imbottitura per le scarne nervature della terra,
e divengo tutt’uno con le cose che mi circondano.
Ah! Quanto è piacevole il nastro argentato
che cinge la falda del mantello della notte che scende.
Le foglie sottili, frementi sui loro filari di seta,
compongono una musica simile a quella del raso frusciante,
quando le brezze di luce carezzano la loro peluria lanuginosa.

Ah! Che cosa si solleva al mio tocco,
come un cuscinetto? Può essere un cavolo?
Lo è, è proprio quel fiore profondamente ferito,
che i ragazzi sono soliti canzonare; - e tuttavia io ti amo,
tu grande rosa, avviluppata in un verde soprabito.
Senza dubbio nell’Eden tu arrossivi di luce
come i tuoi gracili confratelli; ed il tuo sospiro
addolciva la fragranza dell’aria speziata;
ma ora tu sembri come un bellimbusto in bancarotta,
spogliato dei suoi sfarzosi colori e delle sue essenze,
che cresce corpulento nei suoi sobri indumenti.

E’un cigno quello che sta viaggiando sull’acqua?
Oh no, è quell’altro uccello garbato,
che è il patrono del nostro nobile lavoro.
Ricordo bene, nella mia giovinezza,
quando queste giovani mani per la prima volta afferrarono un’oca;
ho una ferita sul dito dell’anello,
che racconta l’ora della giovane ambizione.
Mio padre era un sarto, e suo padre,
e il nonno di mio padre, furono a loro volta dei sarti;
possedevano quella vecchia oca, - era un antico retaggio
che proveniva dalla nostra dinastia.
Successe che la vidi una volta
quando non c’era nessuno vicino, e la toccai,
ma lei mi beccò, - oh, quanto spavento provai!

E’una gioia sollevare tutte le proprie membra,
e lasciarsi andare saltando,
lasciando le piccole ruggini della terra,
lo spago che si rompe, il baccano delle forbici che cozzano tra loro,
e tutti gli aghi che feriscono lo spirito,
per una meditabonda ora di calmante silenzio.
La cara Natura, ingannevole nella sua veste più umile,
posa nudo il suo petto ombroso; posso percepire
ogni cosa attorno a me; posso salutare i fiori
che ornano il manto della terra, e quel tranquillo uccello,
che cavalca la corrente, è per me un fratello.
Il plebeo non conosce tutte le cavità nascoste,
dove la Natura stipa i suoi incanti.
Ma questa innaturale postura delle gambe
Intralcia i miei polpacci distesi, e ora devo andare
laddove posso avvolgerli al loro consueto modo.

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La guerra delle razze

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