Il solstizio d'inverno. 1740

Il solstizio d'inverno. 1740

1 Il radiante sovrano dell’anno
giunge finalmente al suo apice invernale;
fra breve invertirà la sua lunga marcia,
e verso nord volgerà le sue salde redini.
Ora, trafiggendo le altezze di Potosì,
con rinnovata sicurezza affretta le fiammeggianti maree di luce
facendo maturare le riserve d’oro delle montagne:
mentre, nell’ombra di qualche orrida caverna,
il palpitante Indiano nasconde la sua testa,
e spesso implora l’avvicinarsi della sera.

2 Ma guarda, su questa costa deserta,
quanto è pallido il sole! Quanto è densa l’aria!
Passando in rassegna le sue tempeste, meschina armata,
ecco, l’inverno arriva a desolare l’anno.
I campi lasciano i loro ultimi boccioli;
non più le brezze spanderanno i loro profumi,
non più i fiumi scorreranno con le loro musiche:
la neve cadrà oscura, o risuonerà la pioggia;
e, mentre la grande Natura piangerà tutt’intorno,
le sue pene infetteranno l’anima umana.

3 Per questo le folle dell’indaffarata città rumorosa
hanno urgente bisogno della calda scodella e dello splendido fuoco:
melodiose danze, canzoni festose,
tramano contro questo cielo malevolo.
Nel frattempo, forse, con lacrime più tenere
qualche donna del villaggio sta ascoltando il rintocco del coprifuoco,
mentre intorno al focolare giocano i suoi figli:
al mattino il loro padre è uscito di casa;
la luna è calata, e cupa è la strada;
ella singhiozza, chiedendosi dove sia suo marito.

4 Ma tu, mia lira, svegliati, rinasci,
e saluta la potenza del sole rinascente:
perfino ora egli scala i cieli settentrionali,
e salute e speranza attendono il suo corso.
E allora più forte grida la desolazione nel vento,
la terra viene abbracciata da un gelo più acuto,
eppure le ore gentili continuano il loro volo;
e la Fantasia, facendosi beffe della potenza dell’Inverno,
con fiori e rugiade e luce grondante
già prepara gli addobbi per la Primavera nascente.

5 O fonte del giorno dorato,
possano i voti dei mortali accelerare il tuo arrivo,
perché il più presto possibile il raggio del primo vere
possa far arretrare la crudele umidità!
Quanto presto volano le tempeste volteggianti,
le cui munizioni armano di mali il cielo,
pronte a precipitarsi veementi sulle nostre teste,
per lacerare la foresta sin dal pendio,
o, tuonando sopra le profondità del Baltico,
per inghiottire le mercantili speranze di profitto!

6 Ma non lasciare che gli iniqui pensieri degli uomini
abusino della Natura e delle sue leggi:
è con grande gioia che si può usare
l’indulgenza della Causa Suprema;
siamo sicuri che la salute e la bellezza sorgeranno
in questo maestoso paesaggio,
oltre il quale si può raggiungere la conoscenza;
e asseconderemo la volontà del Cielo che tutto soggioga,
sia i buoni, sia la progenie dei malvagi,
e che tempra ogni stato della terra.

7 Quant'é bella la notte che si veste d’inverno,
quando è passata con gli antichi illustri morti!
Mentre, accanto alla tremante luce della candela,
mi sembra di passeggiare tra quelle terribili navate,
dove riposano capi o legislatori,
i cui trionfi si muovono davanti ai miei occhi,
schierati in parata e in augusta pompa,
mentre ora assaggio la poesia Ionica,
ora m’inchino davanti alla loquela divina di Platone
che risuona tra le ombre olivastre.

8 E dovrebbe qualche amico, qualche amico davvero
lasciare per un attimo lo studio,
lasciare che il divertimento si occupi della saggezza,
ed il riposo delle fatiche dell’erudizione.
E’allora che all’imprudente altare dell’amore,
ognuno detta al dio del vino
il nome di colei a cui obbediscono tutte le sue speranze,
ed i sogni adulatori che ogni cuore riscaldano,
mentre l’assenza, accrescendo ogni bellezza,
invoca il lento ritorno di Maggio!

9 Maggio, delizia del cielo e della terra,
quando risorgerà la tua stella benigna?
Il propizio mattino, che ti dà la vita,
porterà davanti al mio sguardo Eudora.
Dentro al suo rifugio silvestre, eccola,
come nel felice antico giardino,
lei balla come una bellezza primordiale:
accanto a lei, voi lire dall’argenteo suono,
voi teneri sorrisi, voi casti desideri,
voi ingenue speranze e fede reciproca, mettetevi al riparo.

10 E se il mio amore potesse leggere
dentro ai suoi occhi propizi presagi,
allora le mie paure, o splendida fanciulla,
e tutte le pene della tua assenza morirebbero:
ed allora la mia lieta arpa, in accordo melodioso
con il tuo orecchio gentile, con suono più dolce
perseguirà la disinvolta poesia Oraziana:
il vecchio Tyne ascolterà il mio racconto,
ed Eco, in fondo alla valle circostante,
prolungherà la liquida melodia.

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