Ecco che la bruna estate, abbronzata dalla rude brughiera,
prende il posto della primavera dalle rosee dita;
e la gioia ridente, di selvaggi fiori adornata e coronata,
frivola e licenziosa,
e la robusta prosperità, libera da ogni preoccupazione,
arriva sulle ali dello zefiro
e rallegra il rozzo contadino.
Felice come il volto d’una vacanza,
dalla lingua tonante, “lieta come lo scampanio del matrimonio”,
i tuoi agili passi spargono allegria in ogni luogo;
e laddove dimorano coloro che sono attanagliati dalle ansie,
i tuoi magici sorrisi li distraggono dalle loro pene;
e dal tuo incantesimo solatio
accolgono queste gioie inaspettate.
Con i tuoi riccioli voluttuosi sciolti e liberi al vento,
e con il tuo mantello impreziosito da gemme di luce abbagliante,
tu arrivi come tutti gli anni; perché io volentieri mi intrometterei,
e a dispetto del mondo intero,
condividerei la villana festosità che allieta il tuo cuore:
se per caso così io potessi
ottenere il piacere dai tuoi sorrisi.
Non cercherò più gli schiamazzanti svaghi,
tra gozzoviglie notturne o tra le strade della città;
ma vorrò le gioie che carezzano, non che distraggono le orecchie,
che nella tranquillità si incontrano
tra i verdeggianti boschi, nei pascoli appena tosati,
o nei campi, dove le mosche-api salutano
le orecchie con le loro antenne intrise di miele.
La cavalletta di verde vestita, sulla tremula canna,
canta e danza come un giullare impazzito;
laggiù le api vanno corteggiando ogni fiore maturo,
sui terrapieni e sugl’argini assolati;
e la ronzante libellula, sul rude fagotto,
tenta di ringraziare Dio
con una piacevole melodia.
Là il mughetto maculato, imbevuto della gioia di sé stesso,
canta le ammende della gioia,
e beve la mielata rugiada della solitudine.
Laggiù la felicità attende
con gioia innata, sino a che il cuore trabocca
di quella sensazione di cui i rudi amici del mondo
non si curano, e di cui nulla sanno.
Là il felice fiume, ridendo mentre scorre,
spruzza con le sue onde sincere i suoi molli argini,
ed alla calma del cuore, nella tranquillità mostra
con piacere le dimore,
tracciando le sue rive coperte da falaschi, libere da paure:
la solitudine fornisce anche luoghi
dove poter meditare, ed esser felici con sé stessi.
Laggiù, sotto alcuni leggiadri cespugli,
sulla dolce erba di seta mi distendo a riposare,
e posso dormire cullato dallo sciabordio delle correnti;
e, agendo come mi piace,
cado in bellissimi sogni; oppure rimango sveglio a riflettere,
osservo gli alberi scossi dal vento,
e il cielo percorso dalle nuvole.
E penso a come barattare qualche gioia con qualche ansia,
e come perdere la vitalità dell’estate tra i bagordi,
conscio delle dolcezze della natura;
dove le passioni vane e volgari
vengon levigate dalla calma riflessione;
e la predisposizione del cuore
si stanca di essere infelice.
Lì potrò vivere, e cercare
gioie lontane da fredde restrizioni – non temendo l’orgoglio -
libero come i venti che soffiano contro le mie gote
quella pura salute così a lungo negatami.
Qui la povera integrità può sedere in tranquillità,
e ascoltare soddisfatta
la canzone delle api da miele;
e il verde viale corre spensierato
verso luoghi ignoti, sino a che non scorge
un rozzo ostacolo, che termina la visione
dove giacciono i segreti nascosti;
e allora una cuspide coperta di muschio, d’edera coronata,
coglie di sorpresa,
e mostra uno spicchio di veduta della città.
Vedo i fiori selvatici, nel loro mattino d’estate
di bellezza, nutrendosi delle saporite ore di gioia;
il gaio convolvolo, avviluppato intorno al biancospino,
a bocca aperta in attesa di piogge di miele;
e l’esile ranuncolo, brunito della rugiada
delle prime ore del mattino,
simile all’oro appena coniato.
Ecco vicino al rustico ponte, sul leggero fiumiciattolo,
il ragazzo che munge la mucca,stufo del lavoro,
assorbito in vagabondi sogni d’estate;
che ora, con selvaggi gesti,
comincia a danzare di fronte alla sua ombra sul muro,
sentendosi gratificato,
non percependo alcun pericolo di schiavitù umana.
Poi mi faccio strada nella valle assolata ornata di ruscelli,
o di rudi foreste, o di argini ombreggiati
da semplici pozze, dove oziosi pastorelli sognano,
e stiracchiano le loro spossate membra;
oppure seguo i prati odoranti di fieno, lunghi e levigati,
dove il selvaggio impulso della gioia nuota
in un'ininterrotta canzone.
Amo, al mattino presto, nel prato appena falciato,
osservare la rana che saltando segue la sua strada;
guardare mentre, saltellando sull’umido sentiero,
con le sue lucenti membra che spargono rugiada,
la prima allodola che spicca il volo
ed intona il suo canto del mattino;
poi rivolgo lo sguardo ai cieli.
Guardo le siepi, piovigginate d’umidore,
dove la nera lumaca striscia dal biancospino coperto di muschio,
con zelante attenzione, e tremula intenzione,
fragile sorella del mattino,
che in mezzo ai teneri fili d’erba secca e alle appannate foglie
ritira il suo timido corno,
e getta un timido sguardo pieno di paura verso l’alto.
Ecco la rondine sul camino abbronzato dal fumo,
avvezza ad essere la prima a dissigillare gli occhi del mattino,
prima che l’ape lasci cadere una goccia
di miele sul suo fianco;
mi fermo a guardarla mentre si libra nell’aria per cantare,
e la seguo sino a che il cielo dorato
colora la sua ala di rossastra ruggine.
Ecco il pastorello che occhieggia attraverso il grano abbronzato,
con un battito di mani scaccia gli uccelli,
e urla a tutti i passeri
per far loro sapere l’ora del giorno;
ecco la giovane brezza del mattino, forte e fresca,
giocare con i fiori che si stanno svegliando,
e soffiare canzoni eole.
Io amo il vento di sud-ovest sia quando sussurra sia quando urla,
e non meno amo quando improvvise gocce di pioggia
cadono dalle nuvole d’ebano e inumidiscono le mie pallide gote,
minacciando altre dolci piogge,
che sulle terre e sui campi appena arati,
sciolgono le catene del dolce respiro dell’estate,
risvegliando i suoni più armoniosi.
Fertili musiche si diffondono in ogni voce dell’estate;
nella sua armonia di mutevoli prati,
foreste, pascoli, siepi, campi di grano, tutto intorno
si intromette tanta bellezza,
riempiendo di melodia l’orecchio e lo sguardo;
mentre sulle scene mescolantesi
in lontananza si apre un cielo sorridente.
E il pioppo, del vento innamorato, guarda le foglie
volgere la loro argentea veste verso il sole,
e osserva silente! Il rumore arruffante, che spesso inganna,
fa scappare il giovane guardiano di pecore;
quel suono così bene imita le piogge che s’avvicinano veloci,
tanto ch’egli pensa che stia cominciando a piovere,
e s’affretta verso i pergolati che gli offrono riparo.
Ma ora la sera si rapprende, umida e grigia,
passando da un fievole color azzurro ceruleo ad un fosco nero;
e i deprimenti gufi, che chiudono le palpebre del giorno,
escono con le loro rumorose ali;
mentre le ciarliere cicale, tremule e lunghe,
danno l’arrivederci alla luce,
intonando la loro poesia d’addio.
L’agghindato pipistrello esegue i suoi cerchi notturni;
la lucciola fa luccicare il suo lume
sui prati spruzzati di rugiada; e lo scarabeo va alla ricerca
di strade sempre nuove,
canzonando ogni orecchio con ineffabili mormorii,
come a voler seguire
il suo sentiero verso casa.
Ascolta la melodia delle lontane campane
che sul vento con piacevole ronzio rimbalza
con intermittenti balzi, poi si gonfia musicalmente
sui bigi e silenti campi;
mentre sul ponte tra i prati il ragazzo
ascolta i succosi suoni,
e canticchia con gioia distratta.
Di ritorno a casa, il piantatore di siepi impacchetta
il suo fascio, e ad ogni passo
il suo farsetto di pelle rimanda un suono frusciante.
Fino a che stupide pecore accanto al
suo sentiero sussultano tremebonde, ed ancora una volta
guardano indietro insoddisfatte,
per poi correre via sulla pianura rugiadosa.
Quanto dolcemente la rassicurante calma che tranquillamente pervade
ogni senso dentro al cuore fa gocciolare il suo sedativo
negli animi dagli occhi miti e con balsamici trilli!
Che si affievoliscono e si mitigano,
con il corteo gentile e delicato
che sognante rinnova la sera
in tante diverse e pastose melodie.
Amo camminare nei campi, essi sono per me
un’eredità che nessun male potrà mai distruggere;
essi, come un incantesimo, liberano tutte le estasi
che mi salutavano quand’ero un ragazzo.
Il mio gioco – il mio passatempo – gli scarabocchi,
ecco che tornano come gioie appena nate,
per accogliermi nella campagna.
Perché gli oggetti della natura sempre si armonizzano
con bramoso gusto, che le volgari azioni disturbano;
ella ama condividere i suoi sentimenti con le anime gentili,
e incontrare vibranti gioie
su tutte le cose; né giudicherà
passatempo quello che la musa impiega
come un vano tema importuno.