L’Estate è in fiore, il brusio della Natura
non si zittisce mai tra le sue abbondanti fioriture;
gli insetti, piccoli come pulviscoli di polvere, non fermano mai
la loro danza scintillante e vorticante nella luce del sole;
le giovani vespe, le api cacciatrici di fiori,
non si stancano mai della loro armonia.
Intorno ai pascoli e ai cespugli i fiori sbocciano gloriosi,
s’abbracciano alle loro campanule, e l’attorcigliato caprifoglio,
che si innalza con la sua figura snella e scarna,
alza la sua piccola testa verso la pioggia di rugiada e di miele;
schiere di fiori corron in pacato disordine su ogni cespuglio,
e diffondono i loro selvatici colori nel sole soffocante.
Il ragno screziato, ozioso nel tepore della sera, tesse
le sue ragnatele di soffice pizzo sui fuscelli e sulle foglie,
che ogni mattina incontrano lo sguardo del poeta,
simili a umide vesti di fate stese ad asciugare.
Il frumento si dilata nella pannocchia e si nasconde sotto
ai fiori selvatici di Maggio ed al loro splendore gaudioso,
raggiungendo l’altezza d’un ragazzino e regalando riparo
al leprotto, all’allodola, e alla pernice.
I mietitori si piegano sul pascolo imperlato di grano,
laddove spesso l’affamato asino del vagabondo
volgerà i suoi desideri deviando dal sentiero,
fermandosi ad ascoltare il mormorio delle falciate.
L’aratore suda camminando lungo le valli coltivate a maggese,
percorrendo sotto l’astro cocente i sentieri arati:
spesso cerca, quand’è assetato, l’ausilio del ruscello,
sfiora bramoso i cespugli che crescono
accanto alla sua fresca acqua, e disturba il riposo
del palombo, meditabondo nel suo inerte nido.
Le ore di svago del pastore sono finite;
non più potrà bighellonare sotto le frasche e i pergolati,
non più si accoccolerà all’ombra sulle rive del fiume;
dovrà lavorare in estate.
Ecco i fischi, i cani che abbaiano, le bisbetiche che borbottano:
egli conduce il belante gregge dal bruno ovile
ad abbeverarsi, dove si piegano le ombre dei salici,
dove sguazzeranno e si puliranno il manto,
e poi, sulla distesa assolata, quando saranno asciutte,
il pastore le riporterà a casa, nella sua fattoria
costruita laddove gli olmi e i sicomori
si sollevano verso il sole, in mezzo ai campi trebbiati.
E’qui che con le canzoni, le risate e le storie,
egli alleggerisce la sua fatica, proprio qui, dove la birra
si diffonde e rallegra il cuore degli uomini anziani che lodano
gli antichi costumi della loro giovinezza:
raccontano di come la grande scodella collocata sul tavolo
per la colazione, quando tutti i tosatori s’assemblano,
stracolma di grano, dove gustosamente nuota
lo striante zucchero e la punteggiante uva.
Le cameriere non possono mai portare sul tavolo
la scodella senza farsi aiutare, tanto è ricolma
sino a straripare; se potessero, i pastori venderebbero la
sua dolcezza per un bacio rubato a quelle fanciulle.
La grande anfora di pietra nel suo umile nitore
e l’annebbiata pinta di corno con il suo orlo di rame,
si mostrano; grazie a loro gl’uomini rinfrancano i loro spiriti,
e si riforniscono delle bellezze celate nella cantina;
intanto gli agresti pastorelli cantano le loro rime incolte,
cantano poesie che dipingono i bei vecchi tempi.
Il vecchio uomo rimpiange i sentieri del passato,
sino a che le affaticanti cesoie non rinnoveranno il loro richiamo
e le interromperanno, - ecco, ora la timida pecora,
con il manto tosato, salta con un balzo impaurito,
scuotendo il suo collo ormai nudo con gioia stupefatta,
mentre altre vengono portate da robusti giovani.
Sebbene l’altezzoso cipiglio della moda abbia accantonato
almeno la metà delle vecchie forme della semplicità,
permangono ancora degli orgogli da condividere,
rimasti come la verde edera quando gl’alberi sono brulli.
Ed ora, quando la tosatura dei greggi è terminata
alcuni antichi costumi, frammischiati con l’innocuo svago,
coronano le felici fatiche dei pastori. La timida fanciulla,
lieta di esser lodata, e nel contempo impaurita dalle lodi,
cerca i fiori migliori; non quelli dei boschi e dei campi,
ma quelli che concedono i giardini delle fattorie -
le bellissime rose borraccine, colorate come il suo viso;
la fulgente viola del pensiero, di dorati pizzi adorna;
la nobile speronella, piumata d’uno spesso manto di fiori;
il vincibosco, che s’arrampica sulle porte e sui pergolati;
i garofani di Londra, dai variegati colori;
la pallida perla rosa, e l’aconito dall’azzurro violaceo;
i candidi e purpurei garofani, che rimangon
sempre in fiore per quasi tutta l’estate;
le nubili rose altissime, dal profumo acceso,
fiori antiquati che le casalinghe così tanto amano;
la colombina vestita d’un pallido azzurro o del buio della notte,
con i suoi fiori pendenti come nidi d’ape,
sono tutti figli adottati da ogni giardino dei cottage,
sebbene la natura li reclami, dove essi crescono selvatici;
insieme alla maggiorana, alla rosa rubiginosa, alla scagliola,
alla lavanda, la prescelta di tutti gli innamorati,
e ai rametti di abrotano – tutti nomi familiari,
che ogni giardino di ogni villaggio richiede per sé.
Questi fiori le fanciulle raccolgono con piacere civettuolo,
e li legano insieme, con attenzione, per la sera;
poi li regalano ad ogni pastore, strette tra l’amore e il pudore,
quei “mazzetti di fiori”, simili alle loro concessioni.
E il pastorello si solleva, per ottenere il suo bacio: -
con sorrisi trattenuti, bramanti di felicità,
lei sfugge via, e, arrossendo, lo chiama “rozzo”;
ma poi torna a sorridere, e spera d'esser inseguita;
e infatti quello, a cui è stato fatto un cenno,
la segue per prenderla, e non vien questa volta respinto.
Il resto del gruppo ride a crepapelle, perché si rivela, -
lei arrossisce in silenzio, ma non lo disconosce!
Così la birra, la musica, i brindisi, l’allegria,
trattengono un velo dei giorni passati;
ma la vecchia scodella di faggio, che una volta riforniva
la festa del frumento, viene gettata via;
e la vecchia libertà che stava vivendo allora,
quando i padroni si rallegravano con i loro servi;
quando tutte le giubbe divenivano rosse ugualmente,
e i discorsi divenivano egualmente volgari -
tutto è ormai passato, e presto passerà anche
il rimanente tempo dell’estate.