Se cercate su Google il nome “Ronaldo” vi usciranno pagine e pagine di CR7, il calciatore-simbolo del nuovo millennio (insieme a Messi): un’icona a livello mondiale, mangiatore insaziabile di record, gol e vittorie.
Se chiedete a qualunque persona nata dopo il 1990 chi sia Ronaldo vi risponderà indubbiamente snocciolando le sue imprese, imitando il suo taglio di capelli e la sua esultanza, accalorandosi di quanto sia forte alla Playstation quando lo manovra col joystick.
Pochi, fidatevi, vi parleranno riferendosi all’altro Ronaldo, quello infinitamente più sfortunato. Però per coloro nati prima del 1990 è lui il vero Ronaldo: anzi, semplicemente il Fenomeno.
Sì, perché Luiz Nazario da Lima non era un calciatore: era una Maserati su due gambe troppo fragili per reggerne i cavalli. Aveva una forza fisica dirompente, uno scatto che non si era mai visto in cent’anni di storia di football, una tecnica sopraffina e una straordinaria capacità di dribblare chiunque gli si avvicinasse. Non era il classico numero dieci brasiliano con lampi abbacinanti di classe: era il prototipo dell’attaccante moderno, universale, senza difetti. Aveva tutto: velocità, dribbling, colpo di testa, potenza, tiro da fuori, fiuto del gol. Non per nulla l’Inter, alla fine degli anni Novanta, fece carte false per averlo. Quella trattativa divenne l’affare del secolo.
Ronaldo era destinato a diventare un campione, e lo diventò. Però avrebbe potuto essere di più, uno che avrebbe potuto stare al fianco dei soliti dèi del calcio. Non lo fu perché la sfortuna si accanì contro i suoi tendini troppo fragili, cresciuti troppo in fretta, sfruttati oltre il loro limite naturale, spesso allenati male. Vinse tanto, certamente, ma senza quella iella maledetta avrebbe potuto vincere molto di più.
Questo è il romanzo della sua vita calcistica: gioie e dolori di Luiz Nazario da Lima, Ronaldo, semplicemente il “Fenomeno”.
GLI ESORDI
Nell’ospedale di Itaguaì, un sobborgo di Rio de Janeiro, la ventisettenne Sonia Barata Nazario da Lima partorisce il terzo figlio, Ronaldo Luiz. Il padre è Nelio Nazario da Lima, stessa età della consorte, operaio presso la società telefonica Telerj. Hanno già due bambini, Ione (4 anni) e Nelinho (1 anno). Una famiglia non disagiata, come spesso capita nelle periferie delle megalopoli carioca. I giornalisti, successivamente, s’inventeranno che erano poverissimi, che facevano la fame, che non avevano soldi per un tozzo di pane. Bugie. Lo stesso Ione interverrà a smentire queste voci: “Non abbiamo mai fatto la fame, anche se non eravamo ricchi”.
Il piccolo Ronaldo, che viene chiamato Dadado dal fratello Neilinho riprendendone i tentativi di pronunciare il suo nome quand’era ancora piccolo, cresce con il pallone da calcio tra i piedi. La sua vita non è serena, però. Il padre beve e spesso litiga con la madre, senza mai comunque arrivare ad alzarle le mani (anche su quest’ultimo fatto taluni giornalisti ci ricameranno sopra le solite idiozie). In più a scuola il piccolo Dadado non va bene: iscritto al costoso Colegio di Santa Monica, la sua pagella è ampiamente rivedibile: sette insufficienze su otto materie sono un bottino che non soddisfa la madre, la quale rinuncia a continuare a pagare la retta.
A salvarlo dalla malavita c’è il calcio. Tredicenne, Ronaldo entra nella squadra di calcetto del Valqueire Futebol Clube di Bento Ribeiro. I compagni lo chiamano “Dentuco”, cioè “Dentone”, per via degli incisivi sporgenti che gli rimarranno per sempre. Il club rivale, il Social Clube de Ramos, altro quartiere di Rio, nota subito che quel ragazzino ha qualcosa in più degli altri, e lo ingaggia: rimborso spese, fornitura di scarpe e maglietta.
Il piccolo Ronaldo cresce in fretta e da nanetto diventa lungo e secco come un’acciuga: infila i portieri a ripetizione, come quella volta contro il Municipal in cui buca la porta 11 volte. E’pronto per una selezione seria. Arriva quella del Flamengo. Il primo provino va alla grande, così passa alla seconda fase, che si tiene a Gavea, un campo molto lontano dalla sua zona. Lui non ha i soldi per comprare il biglietto del pullman e così chiede un prestito temporaneo proprio al Flamengo, che però glielo nega. Peccato. Per quelli del Flamengo.
AL CRUZEIRO
Il 27 luglio del 1990 Alirio Carvalho, direttore sportivo del Social Clube de Ramos, conclude un accordo per la cessione dei suoi migliori giocatori al Sao Cristovao, una squadretta di Rio. Tra quei talenti c’è, naturalmente, il giovanissimo Ronaldo. Il quale in questo periodo della sua vita versa davvero in cattive acque. Il padre, come detto, ha abbandonato la famiglia e i soldi scarseggiano. Lui, dunque, diventa la principale fonte di reddito e ne è consapevole. Per questo motivo continua a chiedere denaro. Lo dice espressamente Ari Ferreira de Sa, un dirigente del Sao Cristovao: “Capii subito che quel ragazzo sarebbe diventato un campione: era un talento naturale, con un senso del gol che nessuno dei suoi coetanei aveva. Era agile e potente, con scatto da felino. Aveva un solo difetto che mi faceva arrabbiare: chiedeva sempre soldi. Mi perseguitava. Sapevo che a casa sua non se la passavano bene perché suo padre se n’era andato. Lui sapeva di essere il migliore della squadra e quindi tendeva ad approfittarsene con continue richieste di denaro”. E’già maturo per diventare professionista.
All’inizio del ’92 il Sao Cristovao sta per fallire e deve cedere i suoi gioielli. Ronaldo è tra questi. Non viene acquistato, però, da un club, ma da due affaristi ex-funzionari di banca che si sono improvvisati procuratori di calcio. Si chiamano Alexandre Martins e Reinaldo Pitta. Sono scaltri e ben inseriti nel football brasileiro delle strade di Rio. Ronaldo gli viene segnalato da tutti come possibile campione e loro ci credono. Ne comprano il cartellino: sono probabilmente i primi Mino Rajola del calcio moderno.
Pitta e Martins mettono sul mercato il loro diamante grezzo. Arriva il Cruzeiro, che lo fa suo per 25.000 dollari (50 milioni di lire dell’epoca). E’l’autunno del 1992 e il Fenomeno ha 16 anni. Deve trasferirsi a Belo Horizonte, nello stato del Minas Gerais. Ormai è un professionista e coi soldi dell’ingaggio (3.750 dollari per la precisione) convince la madre Sonia a lasciare il lavoro e occuparsi solo della famiglia. Cioè, soprattutto di lui. I due sono legatissimi, tanto che fino al trasferimento al Cruzeiro il giovane Ronaldo ha sempre continuato a dormire nel lettone con lei.
Martins e Pitta, il gatto e la volpe, gli fanno firmare un contratto di procura fino al 2009, che assicura loro il venti per cento di tutti i suoi guadagni. Lui, che gli deve tutto, accetta senza fiatare.
Anche perché i due si rivelano ottimi agenti. Il Cruzeiro è la scelta giusta. La squadra è organizzata per fare gol, e Ronaldo vi ci si trova a meraviglia. Al debutto in Supercoppa, segna tre reti al Colo Colo. Il ct della Selecao, Parreira, lo convoca per l’amichevole del 18 novembre 1993 contro la Germania a Colonia. A sedici anni solo Pelè e il misconosciuto Edu sono approdati così giovani alla nazionale verdeoro. Quale sarà il suo destino, non si sa ancora, però Parreira giura: “Ho convocato Ronaldo perché mi sembra un fuoriclasse, segna con facilità disarmante ed è un ragazzo coi piedi per terra”. Quindi, per non guastarlo e farlo rimanere coi piedi per terra, lo lascia tutta la partita a scaldare la panca.
Da questo fatto Martins e Pitta capiscono che per sbocciare deve lasciare il Brasile. Parreira è un ct europeo, predilige la concretezza piuttosto che il genio brasileiro. Ronaldo di concretezza ne ha, quindi è pronto per un’esperienza nel Vecchio Continente. Ma dove? L’Italia è il paese del calcio stellare: la Serie A è una specie di campionato dei fenomeni dove dagli anni ’80 in poi converge il gotha del football internazionale. Se non giochi qualche anno in Italia, non sei nessuno. Però è un torneo troppo difficile per un giovane di 16 anni: e, soprattutto, non perdona se fallisci le prime partite. Ci sarebbe la Spagna, ma è un calcio troppo simile a quello brasiliano: non imparerebbe nulla.
Allora ai due procuratori viene in mente una soluzione molto alternativa: l’Olanda. Nel paese del calcio totale il loro assistito imparerà la tattica pur conservando la possibilità di esprimere il suo genio. Poi, dopo quest’esperienza, potrà andare in Italia, dove la tattica regna padrona.
L’OLANDA
Strano, però. All’Ajax non hanno spazio. Dove, dunque?
Pochi sanno che l’acronimo PSV significa “Philips Sport Vereniging”: è la squadra della Philips, industria di apparecchi tecnologici nata nel 1891 ad Eindhoven. Ronaldo va lì, al PSV Eindhoven. Il Cruzeiro si intasca 6 milioni di dollari, cioè oltre dieci miliardi di antiche lire. Contratto triennale di 4 milioni di dollari con 900.000 di premio di ingaggio. Niente male. Allo stadio Mineirao di Belo Horizonte Ronaldo dà l’addio al club segnando un gol dopo undici minuti e uscendo dal campo al venticinquesimo tra le ovazioni degli astanti. E’nata una stella ma se ne va via subito. Così funziona in Brasile.
Il debutto avviene il 28 agosto del 1994. Gol al minuto numero nove, quello della sua maglia. Sugli spalti esultano la mamma Sonia e il fratello Nelinho. All’esordio in Coppa Uefa, sul campo del Bayer Leverkusen, Ronaldo segna ben 3 gol. L’allenatore del PSV, Aad de Mos, è entusiasta: “A diciotto anni è già un calciatore completo. Basta vedere come reagisce quando perde palla o subisce un fallo. Mai una protesta, una parola di troppo”.
A fine campionato il bottino del Fenomeno ammonta a 30 gol in 32 match. In Olanda si è irrobustito aumentando il peso, da 75 a 78 chili, è cresciuto di 2 cm. in altezza arrivando a 1,81 e soprattutto ha messo su tanta massa muscolare. Forse troppa.
Nel febbraio del ’96 questa crescita muscolare comincia a presentare l’altra faccia della medaglia. Quella più brutta. Emerge un problema al ginocchio destro, precisamente una incrostazione calcarea nell’articolazione. Per gli specialisti olandesi, all’avanguardia nel settore, il Fenomeno dev’essere operato il prima possibile. Tempi di recupero: tre mesi.
In quel periodo arriva il primo, grande, attestato di fiducia della sua carriera. Glielo elargisce il patron dell’Inter, Massimo Moratti, che invia i suoi auguri di pronta guarigione a quello che egli considera già un suo futuro calciatore: “Spero che si rimetta al più presto, lo aspetto all’Inter”. Ronaldo ricambia il favore in un’intervista del 20 marzo ’96 nella quale elenca i suoi obiettivi a breve termine: “Quest’anno conquista dell’oro olimpico e vittoria in campionato con il PSV. Nel 1997 trasferimento all’Inter dove spero di consacrarmi miglior giocatore d’Europa. Nel 1998, vincere il titolo con la Nazionale brasiliana ed essere eletto miglior giocatore del Mondiale. Nel 1999, continuare a giocare nell’Inter e fare un’incredibile collezione di trofei: scudetti, Champions’ League, Coppa Intercontinentale, fino al 2006. Nel 2006, un sogno un po’ matto: giocare nel campionato americano per un paio d’anni. Nel 2008, chiudere la carriera a 31 anni giocando in qualche squadra brasiliana”. Idee chiarissime.
IN SPAGNA
Il 9 luglio 1996, mentre Ronaldo è in ritiro con la Nazionale, va in porto il suo trasferimento al Barcellona. Il club catalano acquista per 30 miliardi di lire il fuoriclasse. Il presidente Moratti ci rimane malissimo. In teoria, vanterebbe un diritto di prelazione. In un’intervista si sfoga così: “Dovevano interpellarci. Ma se il prezzo di Ronaldo è quello, lo prenda pure il Barcellona. Non ci interessa più”.
Il 2 agosto del ’96, battendo il Portogallo per 5-0, il Brasile conquista il terzo posto alle Olimpiadi di Atlanta. Ronaldo segna il suo quinto gol nella manifestazione, che gli fa chiudere la classifica a una lunghezza dai capocannonieri Bebeto e Crespo. Memorabile la doppietta con cui stende il Ghana: dopo quella prestazione la stampa brasiliana comincia a definirlo ufficialmente “il Fenomeno”.
Il 12 ottobre è il giorno del debutto a Barcellona. La partita è semplice, finisce 5-1 e Ronaldo mette a segno una doppietta. Il primo gol è da cineteca: recupera un pallone nella propria metà campo, supera in dribbling cinque giocatori del Compostela, entra in area e fulmina il portiere con un destro all’angolino. 47 metri in 11 secondi.
A dicembre il Barcellona comincia la grande operazione “Gabbia dorata” per legare il suo Fenomeno ai colori blaugrana. Prima mossa: ingaggiare la biondissima e bellissima fidanzata, Suzana Werner, calciatrice professionista ex Fluminense, che disputerà la Liga femminile portando notorietà ancora maggiore. E, naturalmente, creando le basi per una famiglia in salsa catalana per il giovane Fenomeno.
Nel gennaio del ’97 i due procuratori Martins e Pitta riescono a scucire alla Nike un contratto di sponsorizzazione senza precedenti: un miliardo e mezzo di dollari (tre miliardi di vecchie lire) annui sino alla fine della carriera di Ronaldo. E’la consacrazione commerciale che la sua stella comincia a illuminare il firmamento del calcio mondiale: la FIFA gli assegna il “World FIFA Player” in base ai voti dei commissari tecnici di tutto il mondo. Lui ottiene 329 preferenze, staccando di parecchio il secondo, George Weah, che ne incassa “solo” 189.
Per i difensori della Liga è un incubo. Cesar Gomez, libero del Tenerife, svela il segreto per contenere il suo talento esplosivo: “Prima di tutto non bisogna farlo respirare, poi bisogna sperare in una certa compiacenza da parte dell’arbitro. Poi, soprattutto, bisogna pregare. Pregare molto, sperando che non sia in una delle sue giornate migliori”. Una ricetta infallibile.
IL LUNGO ADDIO
Nel febbraio del ’97 la Liga comincia ad andare stretta al Fenomeno. Lui guarda verso l’Italia, in particolare verso Milano sponda nerazzurra da dove Moratti continua a strizzargli l’occhiolino. Siccome Suzana non solo fa la calciatrice (e anche piuttosto bene, in verità), ma anche la modella, quella metropoli diventa la meta più ambita dai due giovani brasiliani. I procuratori Martins e Pitta lo fanno presente al Barca, che cerca di convincere Ronaldo a rimanere. Usano l’unica strategia che conta, cioè il vil denaro. Gli promettono un aumento di ingaggio fino a sei miliardi annui e l’innalzamento della clausola rescissoria da 48 a 120 miliardi. Poi però gli emissari blaugrana interrompono le trattative perché le casse del club non sono così floride come sembrano. Martins e Pitta si precipitano a riaccendere i telefonini per ascoltare eventuali acquirenti disposti a pagare la clausola in essere, cioè quella da 48 miliardi. Una cifra che oggi sembra bassissima, ma che per l’epoca è incredibilmente alta.
L’ufficializzazione della fine della love-story con il Barcellona arriva il 4 marzo dalla bocca dello stesso Martins: “Ronaldo rimarrà a Barcellona fino a luglio, poi se ne andrà. Il suo cartellino potrebbe essere acquistato anche dalla Nike”. La quale replica subito: “La nostra azienda si occupa solo di abbigliamento sportivo e non di atleti da comprare e vendere”. Però intanto la boutade sortisce l’effetto di far alzare un polverone immane intorno alla figura di Ronaldo.
La prima mossa la fa, a sorpresa, la rampante Lazio di Sergio Cragnotti. Il proprietario della Cirio vuol far diventare il pelato Ronaldo il suo pelato più famoso. Il 18 marzo si reca in Brasile e intavola una trattativa per portare il Fenomeno a Roma in biancoceleste. La voce viene confermata da diversi giornali fino all’ufficialità, data da Marca: “L’accordo con la Lazio è molto vicino”.
Il 2 di aprile il presidente del Barca, Josè Luis Nunez, annuncia la sua resa: “Per Ronaldo non è stato possibile arrivare a un nuovo accordo: il giocatore ora può trattare con un altro club”.
Il 14 maggio Ronaldo mette a segno la rete che consegna la Coppa delle Coppe al Barcellona battendo il Paris Saint-Germain. Il Fenomeno chiude la stagione spagnola con 34 gol in 37 presenze e 13 reti in 12 partite tra Coppa delle Coppe, Copa del Rey e Supercoppa. Il titolo, però, non arriva: lo precede il Real di Fabio Capello. Ed è proprio lui, il grande ex-allenatore del Milan a bocciarlo dal punto di vista caratteriale: “Ha un enorme talento esplosivo che è paragonabile a quello di Maradona. Ma, a differenza di Maradona, Ronaldo non è un uomo squadra”.
Alla fine della primavera del 1997, però, il suo futuro è ancora in forse. Cragnotti ha trattato con i due procuratori, ma Moratti non si è mai dato per vinto e ha agito sottotraccia. Da qui comincia la Ronaldonovela.
Il 27 maggio, alle 13,15 il presidente Nunez riceve i due procuratori del Fenomeno, che gli comunicano l’avvenuto accordo raggiunto con l’Inter. Ronaldo vuole andare a Milano per forza. Per tutta risposta il furbo catalano risponde di essere pronto a firmare l’accordo di cui avevano parlato a dicembre, cioè raddoppio di ingaggio e aumento della clausola a 120 miliardi. Interpellato, il Fenomeno accetta di rimanere a Barcellona. Moratti quando lo viene a sapere va su tutte le furie.
In una conferenza stampa congiunta del pomeriggio, Ronaldo annuncia la sua decisione definitiva: “Rimango qui. Ho avuto solo un contatto di cortesia con Cragnotti, ma alla Lazio non sarei andato. Sarei invece andato all’Inter perché mi piace Milano”. Manca solo la firma sul contratto.
Alle 17,40 i manager di Ronaldo e il presidente Nunez cominciano a stilare questo soffertissimo contratto. Insorgono i primi problemi: l’accordo non è quello stabilito a dicembre. Alle 21 Moratti viene informato che i giochi si possono riaprire. Alle 23,30 il patron nerazzurro è ufficialmente tornato in corsa per l’acquisto del suo pupillo. La trattativa tra il Barcellona e Ronaldo si chiude definitivamente. Forse.
A spiegare perché è proprio il Fenomeno. Il giorno dopo, 28 maggio, direttamente dal ritiro della Nazionale ad Oslo, dichiara: “Sono deluso e sconcertato. Non sono riuscito a dormire. Non riesco a capire perché Nunez abbia cambiato le carte in tavola all’ultimo momento. Io resto comunque fiducioso. Vorrei stare a Barcellona e Nunez lo sa benissimo. Però mi ha preso in giro per sette mesi, ha mentito. Mi vuole al Barcellona, ma gratis”. I suoi manager rincarano la dose nello stesso momento: “Quelli del Barcellona hanno promesso una cosa e ne stavano scrivendo un’altra”. Non una bella figura da parte del Barca. Almeno sembra.
Il 4 giugno nella sede della Lega Professionisti il presidente della Lazio Sergio Cragnotti annuncia: “Ho sperato che Ronaldo venisse da noi, ma il calciatore ha scelto l’Inter, a cui vanno i miei complimenti”. L’accordo, infatti, pare che si sia raggiunto nella notte. Anche Moratti, poco dopo, conferma: “Credo che entro questa settimana potremo ufficializzare l’ingaggio di Ronaldo. Se il giocatore ha scelto l’Inter è perché ci trova simpatici”. Una spiegazione plausibile, ma forse anche i soldi contano qualcosa.
Del presunto contratto, ancora nulla trapela. Però la certezza che il Fenomeno sia promesso sposo nerazzurro è inappellabile. Almeno sino al prossimo colpo di scena.
Che arriva, puntuale come un orologio svizzero, il giorno dopo.
Il 5 giugno si mette di mezzo la FIFA, che invia a tutte le Federazioni una circolare, la numero 616. La parte succosa di questa circolare è la seguente: fino al 1°aprile del 1999 un club comunitario che trasferisce un giocatore extracomunitario a un altro club comunitario avrà ancora diritto ad un indennizzo. Inoltre, sempre questa circolare stabilisce che un giocatore può stipulare un contratto con un altro club solo in tre casi: 1) il suo contratto sta per scadere, 2) il contratto sia stato rescisso per giustificati motivi, 3) il contratto sia stato consensualmente rescisso. Quindi, se il giocatore rompe unilateralmente il contratto, la federazione del suo club di appartenenza (in questo caso quella spagnola) può rifiutarsi di emettere il transfer, cioè di ratificare il trasferimento. Nunez, soddisfatto, commenta: “Credo che ci siano le possibilità di tenere Ronaldo”.
Caos totale. Praticamente la circolare FIFA parteggia per il Barca e danneggia l’Inter. E’il primo caso di circolare ad orologeria, anzi ad personam. Il presidente della Federcalcio italiana, Nizzola, interviene a favore di Moratti: “La Federazione italiana affiancherà l’Inter in questa trattativa, poiché siamo certi che è stata portata avanti in modo trasparente e ineccepibile a livello normativo”.
Ronaldo, dal canto suo, dal ritiro brasiliano di Lione dove si gioca il torneo pre-mondiale, esclama furibondo: “Dopo questa mossa, i tifosi del Barca avranno finalmente capito perché non voglio più tornare al Camp Nou: il presidente Nunez ha offerto un’altra prova di avermi ingannato. Non giocherò mai più col Barcellona”.
Quando l’affare si complica, non può mancare Sepp Blatter, il gran santone della FIFA, il quale si schiera col Barca. Ecco la sua dichiarazione ufficiale, datata 10 giugno: “Posso ribadire che gli extracomunitari debbono rispettare le leggi del Paese dove prestano la loro opera e che è doveroso rispettare le norme contrattuali. Aggiungo che fino al 1°aprile 1999 i club che perdono un loro tesserato, comunitario o no, hanno diritto ad un indennizzo.
Per tutta risposta, l’Inter va avanti come un carroarmato, affiancata in questa vicenda dal professor Guido Rossi. Il 20 giugno la società nerazzurra versa i 48 miliardi di clausola rescissoria e Ronaldo, impegnato ufficialmente in Bolivia per la Copa America, firma il contratto. Si tratta di un contratto preliminare: dal 1° luglio l’Inter potrà tesserare il giocatore, sempre che arrivi il transfer dalla Spagna. Altrimenti Moratti farà ricorso alla FIFA e, se dovesse essere necessario, alla magistratura ordinaria. Per il Fenomeno si smuovono mai e monti. Anche perché in Copa America dà spettacolo.
Il principale sostegno internazionale a Moratti arriva dalla Pirelli di Tronchetti Provera, grandissimo tifoso nerazzurro e sponsor della squadra. L’accordo col Fenomeno prevede un guadagno fino al 2002 di sei miliardi e si parla anche di “una tantum” iniziale di 23 miliardi.
Il 24 giugno la contromossa FIFA. Arriva la dichiarazione al fulmicotone del vice di Blatter, tal Michel Zen-Ruffinen, che praticamente annulla il trasferimento. L’Inter risponde ricorrendo alla Commissione per lo Statuto del Giocatore della FIFA. A sua volta la Federazione spagnola promette battaglia in favore del Barcellona. E’una guerra globale tra Spagna e Italia, con in mezzo la FIFA che parteggia per il Barca e Ronaldo che vuole andare all’Inter per guadagnare di più e vincere.
Nunez, più arrabbiato che mai, tuona: “Ronaldo ha firmato un contratto con l’Inter, ma ne ha già in essere uno con il Barcellona. Quindi merita la squalifica".
Il 26 giugno la Federazione spagnola nega il transfer (com’era ampiamente previsto). L’Inter fa appello alla FIFA, che stavolta cambia registro. Per bocca di Zen-Ruffinen ecco servita la giravolta: “La FIFA cerca di fare in modo che un calciatore possa giocare il più rapidamente possibile, e, in linea di massima, presso il club di sua scelta. Non ho mai detto che il trasferimento di Ronaldo all’Inter sia illegale, questo lo afferma il Barcellona”. Una supercazzola così mancava da parecchi anni.
Finalmente il 21 luglio 1997 i rappresentanti di Inter e Barcellona si incontrano a Zurigo su invito della FIFA, che vuole una conclusione degna di questo affare indegno. Il Barcellona, però, ha delle pretese alte. Vuole un indennizzo di trenta miliardi da aggiungere ai 48 di clausola già versati nelle sue casse. L’Inter risponde picche sulla cifra ma tenta una mediazione. Blatter interviene direttamente. Il rischio di mandare tutto a donne di facili costumi è concreto, ma c’è di mezzo la Nike, che stavolta si mette di mezzo e impone al presidente della FIFA di decidere a favore dell’Inter, di cui è (tra l’altro) sponsor tecnico. Blatter stesso stabilisce che un indennizzo ci debba essere, ma che questo non debba superare i cinque miliardi di lire. Le parti si incontrano di nuovo e il 23 luglio finalmente “habemus papam”. L’indennizzo viene quantificato in tre miliardi, che Moratti bonifica subito nelle casse blaugrana.
Il 25 luglio il Fenomeno sbarca a Fiumicino, alle 6,05. Nel pomeriggio è già a Milano dove pranza a casa di Moratti. Una folla di tifosi interisti blocca il centro del capoluogo lombardo. Alle 18,30 ad Appiano Gentile il Fenomeno viene presentato ufficialmente. Il sogno è diventato realtà. La trattativa più estenuante della storia del calcio è terminata.
L’INTER, FINALMENTE
Il 27 luglio del ’97 il Fenomeno fa il suo esordio a San Siro contro il Manchester United in un’amichevole di lusso di fronte a 49.718 spettatori. Entra al diciassettesimo minuto. 17, un numero che porta sfortuna? Nel frattempo Nunez viene rieletto presidente del Barcellona nonostante tutto.
L’Inter sogna lo scudetto che manca dall’88-89, quello dei record di Giovanni Trapattoni. Moratti è da poco salito al trono nerazzurro per rinverdire i fasti del padre, Angelo, che aveva portato in dote Helenio Herrera e “la Grande Inter” capace di vincere titoli nazionali, Coppe Campioni e Coppe Intercontinentali. La formazione che si appresta a inseguire la vittoria del campionato 1997-98 è imperniata proprio su Ronaldo, la punta di diamante. La difesa è guidata dal libero Salvatore Fresi, coadiuvato dai due centrali Sartor e Paganin, mentre sulle fasce giostrano Zanetti e (teoricamente) Tarantino. Il centrocampo è diretto da Simeone e Zè Elias, mentre l’attacco punta tutto sul Fenomeno supportato da Djorkaeff, Moriero e Ivan Zamorano. Il tecnico è Gigi Simoni, un gestore di uomini prima che un tattico, ma soprattutto un “normalizzatore” dopo i primi anni di magra targati Massimo Moratti.
Il 31 agosto inizia il campionato. Subito problemi, come d’obbligo quando si tratta di Inter. L’esordio casalingo col Brescia si complica al minuto 73, quando Dario Hubner (tifoso interista) mette alle spalle di Pagliuca azzittendo San Siro. A risolvere il match non è il Fenomeno, ma il “Chino” Alvaro Recoba, pescato da Suarez in Uruguay, che con due botte terrificanti (una da metà campo, l’altro su punizione) fa tornare a respirare il già pericolante Simoni. Moriero, umilmente, lustra le scarpe a Recoba.
Per il gol di Ronaldo si attende la seconda giornata. Trasferta col Bologna, la sblocca Galante, raddoppia Ganz, accorcia Roberto Baggio e poi ci mette la firma il Fenomeno. Finisce 4-2 per l’Inter.
Alla settima giornata l’Inter vince in casa con il Parma dell’ambizioso Tanzi e va in testa da sola. Gol di Ronaldo. Giornali in delirio. Tuttosport titola: “Ronaldo: Juve, trema”. La sfida, infatti, è già tutta tra le due rivali storiche del calcio nostrano.
Che si incontrano finalmente il 4 gennaio a San Siro, turno 14 di campionato. L’Inter inizia bene con un gioco a dir poco esaltante che raccoglie i suoi frutti con Djorkaeff. Partitone di Taribo West, salito agli onori dei titolari, e di Bergomi, che dimostra ancora di saperci fare. Per la Juve Zidane spento, Del Piero brillante ma non troppo, Inzaghi in giornata no. Finisce 1-0 e i nerazzurri volano a +4 dai rivali bianconeri.
Difficile trovare nella prima parte della stagione di Ronaldo qualcosa che non va. Mette in mostra il suo repertorio di dribbling sprigionati all’ennesima potenza, velocità siderale, tocco sopraffino. Ha imparato a giostrare dando una mano ai compagni in ripiegamento, e dall’Olanda si porta dietro un bagaglio di creatività che lo rende completo. La Pirelli, che lo ingaggia per la sua campagna pubblicitaria, lo effigia in cima al Corcovado sulla baia di Rio de Janeiro al posto del famoso Cristo Redentore, quello con le braccia aperte. Sacrilegio. No, vabbè, lui può.
I tifosi interisti sognano, ma poi ecco arrivare l’altro esame Juve. E’il 26 aprile 1998. A Torino la Juve va in vantaggio con Del Piero. L'Inter si getta in avanti senza costrutto, il Fenomeno latita. Poi ecco che la storia prende forma: l’arbitro Ceccarini sorvola su un clamoroso fallo di Iuliano su Ronaldo, sul ribaltamento di fronte West stende Del Piero: calcio di rigore. Lo juventino sbaglia tirando male centralmente (forse volutamente), ma la Juve mantiene in vantaggio, mentre l’Inter perde la testa. Simoni entra in campo, Zè Elias viene espulso, Ronaldo si mangia il gol del pareggio.
Il titolo nazionale prende di nuovo la strada di Torino sponda bianconera. Ronaldo si consola con la Coppa Uefa, vinta battendo la Lazio per 3-0 e segnando un gran gol con finta-controfinta-controfinta che manda ai pazzi Marchegiani.
Cominciano i Mondiali del 1998. Ronaldo, naturalmente, è la star indiscussa. Il suo Brasile vuole laurearsi penta campione in Francia. La strada per la finale è quasi in discesa, ma poi all’atto finale, il 12 luglio del ’98, succede qualcosa. Un’ora prima del calcio d’inizio della finale della Coppa del Mondo Francia-Brasile il Fenomeno non è in lista. C’è Edmundo, detto O’Animal, al suo posto. Probabilmente la Nike telefona a Zagallo che cambia subito la distinta. Ronaldo gioca.
Entra in campo per ultimo, con la faccia martoriata dal dolore, semisvenuto. Anche i brasiliani non sono gli stessi dei turni precedenti. Sembrano degli zombie incaricati di portare un cadavere al cimitero. In campo la Francia domina e Zidane si prende la Coppa. Ronaldo non pervenuto. Già a fine partita filtrano le prime voci riguardanti un grave malore cui sarebbe stato vittima il Fenomeno. Si parla di tutto: svenimento, infiltrazioni mal riuscite, vomito, aneurisma cerebrale.
Il giorno dopo è proprio Ronaldo a spiegare come sono andate le cose: “Ho avuto paura di morire. Per trenta secondi sono stato malissimo, ho avuto le convulsioni. La lingua mi si è rovesciata, è arrivata fino in gola, mi è mancato il respiro, avevo la bava alla bocca: così, almeno, mi hanno raccontato i compagni. Ero sul letto, stavo parlando con Roberto Carlos. Poi lui si è girato e ha cercato di dormire. All’improvviso non ho capito più nulla. Sudavo, non riuscivo a controllare i miei movimenti. Non è stata una crisi epilettica”.
La confessione di Ronaldo continua: “Ho giocato perché mi sentivo bene: sono stato io a dire a Zagallo che sarebbe stato ingiusto tenermi fuori. Lui mi ha ascoltato, non mi ha negato questa possibilità. In ospedale mi hanno sottoposto a una serie di esami: TAC, elettroencefalogramma, elettrocardiogramma. Tutte le analisi hanno dato esito negativo”.
Dunque Ronaldo esclude che ci sia stato un coinvolgimento della Nike. Non ci crede nessuno.
LA VIA CRUCIS
Paul Chevalier, direttore dell’hotel dove soggiornava il Brasile, offre la sua versione. “Ero nel mio ufficio, ad un certo punto ho temuto un’irruzione nell’albergo, perché ho visto correre le guardie, le teste di cuoio, tutti verso la camera di Ronaldo. Io sono rimasto al mio posto, ma dalla finestra vedevo tanta gente intorno alla sua stanza e ho sentito più volte gridare la parola: morto, morto, morto. C’è stato un parapiglia pazzesco, le urla hanno svegliato tutti i giocatori che stavano dormendo. Ronaldo aveva avuto un malore. Quando accaduto ha creato un’atmosfera tremenda attorno alla squadra e chiaramente si è avvertito anche in campo”.
L’Inter, dal canto suo, chiede silenzio. Zagallo, che ha lingua biforcuta, risponde accusando Moratti: “E’lui uno dei principali responsabili dello stress del giocatore”.
A posteriori la spiegazione ufficiale è ancora quella scritta in queste righe. Non si saprà mai la verità.
Il ritorno a casa a Milano avviene il 20 agosto del’98. Ronaldo sembra rinato. Ha trascorso una bellissima vacanza tra Cancun, Rio e Las Vegas con la fidanzata Suzana e ora torna agli ordini di Simoni. “Sono ansioso di giocare con Roberto Baggio. E’il giocatore ideale per lanciare in porta uno come me”. Tra i doni di Ronaldo non c’è quello della profezia.
Il 22 agosto il Fenomeno viene interrogato per due ore dal procuratore Guariniello che indaga sulla vicenda doping come “persona informata sui fatti”: si riferisce al malore accusato prima della finale. Quell’incubo non se ne vuole andare. C’è sempre qualcuno che glielo fa tornare alla memoria.
Quella fine del 1998 segna l’inizio del suo calvario.
Il 16 di ottobre il medico sociale del Brasile vuota il sacco. “Ronaldo soffre di uno squilibrio rotuleo ed i continui dolori ne riducono il rendimento. Ha cominciato a soffrire di questi dolori due settimane prima dei Mondiali. Si tratta di problemi che nascono da un eccesso di attività e che rendono necessaria una fisioterapia specifica, un programma di lavoro più leggero di quello attuale”. A stretto giro di posta replica il medico sociale dell’Inter, il dottor Volpi: “La tendinopatia rotulea è una patologia che in casi estremamente gravi può richiedere anche l’intervento chirurgico. Ronaldo non rientra in quei casi”.
La questione è dibattuta su tutte le reti televisive e su tutti i giornali. Se due settimane prima del Mondiale ha accusato questo disturbo perché il Brasile ha taciuto? Avrebbe potuto accusare l’Inter di averlo preparato male o di aver sorvolato su certi campanelli d’allarme. Ma, dal canto suo, lo staff medico dell’Inter continua a sottostimare il problema. Ronaldo gioca ad intermittenza, ma gioca. Fino all’8 novembre del ’98, giorno del derby col Milan, in cui prende l’ennesima botta al ginocchio destro (contrasto con Helveg). Stavolta è lui stesso a dire basta, mi fermo: “Non sono più quello dell’anno scorso. I tifosi dell’Inter se ne devono rendere conto. Il malanno al mio ginocchio destro si è cronicizzato e dovrò svolgere allenamenti particolari e giocare solo le partite più importanti”. Vuotato il sacco, presenta il suo fisioterapista personale, Nilton Petrone, che tratterà direttamente il suo problema. Non si fida più dello staff medico interista, questo è chiaro a tutti. Le prime crepe con il mondo Inter vengono fuori in quell’autunno del ’98. In quell’autunno perderemo per molto tempo i due migliori giocatori del mondo: Ronaldo e Del Piero. Che non saranno più quelli di prima.
Il punto più basso del rapporto tra l’Inter e Ronaldo viene toccato il 18 marzo 1999, quando il Fenomeno prende l’aereo e si reca in Brasile a festeggiare i 50 anni della mamma Sonia. Ufficialmente, sarebbe convalescente. Ai tifosi non va giù e sfogano la loro rabbia il 25 aprile, dopo la sconfitta casalinga contro l’Udinese. All’uscita da San Siro piovono sassi e una bottiglia viene lanciata contro l’auto dell’ex-idolo, andando a infrangere il vetro di quella dei familiari al seguito. “Capisco i fischi”, dichiara Ronaldo, “il resto no. Nell’auto c’erano mio papà, mia mamma, mia sorella e mio nipote di due anni. Quello che è accaduto è gravissimo: io non voglio fare la fine del condannato, di chi si vede costretto a nascondersi o scappare”.
In quei giorni si ha la netta sensazione che Ronaldo voglia andarsene via da Milano. Dove, non si sa. Una sensazione che viene amplificata da fatto che la squadra non lo segue più. In quei giorni l’unica persona con cui ha un rapporto è Moratti. Ronaldo, dopo mille ripensamenti, decide di rimanere all’Inter solo per riconoscenza verso di lui, che lo considera un secondo padre (anzi, forse un primo padre).
Il 10 agosto 1999 Ronaldo sfoggia una nuova fidanzata, Milene Dominguez. Alla richiesta dell’Inter di tornare anticipatamente dalle ferie risponde picche: “Di sacrifici per gli altri ne ho già fatti tanti in passato. Ho trascorso una settimana di meravigliosa vacanza e ho tutta l’intenzione di aggiungerne un’altra”. Cominciano a saltar fuori gli altarini se rileggiamo la prima frase.
Ad Appiano Gentile si presenta, in ritardo, il 16 agosto. La squadra ha aggiunto Bobo Vieri e si candida, come al solito, per lo scudetto.
L’avvio di campionato è incoraggiante, ma il 24 ottobre 1999 ecco un altro stop, stavolta caratteriale. Durante il derby Ronaldo rifila una gomitata ad Ayala, che l’aveva (a suo dire) minacciato dicendo: “Ti spacco i denti”.
Nulla a confronto di quel che succede il 21 novembre. Al 13°minuto di Inter-Lecce, partita in cui è stato protagonista segnando anche un rigore, Ronaldo infila correndo un piede nel fango. Il ginocchio destro ruota innaturalmente e il Fenomeno, con un urlo lancinante, è costretto a lasciare il campo. Operazione prevista per il 30. Riuscita. Rientro? Non si sa. Il professor Saillant, di cui si fida ciecamente, non elargisce date.
Dopo un periodo di convalescenza, il 6 marzo il Fenomeno viene sottoposto a Parigi aduna serie di esami. Alle 14,50 lascia sorridente la clinica. Potrebbe tornare in campo tra alla fine di aprile, inizio maggio.
In realtà torna prima, il 22 marzo ecco la prima partitella. Il compagno di squadra Blanc “testa” la resistenza del ginocchio malato: “Visto come sono entrato sul ginocchio? Gli ho fatto il tagliando, regge alla perfezione: così adesso sapete tutti che è guarito”.
Il 6 aprile, alla clinica La Madonnina di Milano, alle 12,40, nasce Ronald Domingues Nazario da Lima, il figlio del Fenomeno. Nel sito ufficiale dell’Inter arrivano 300 messaggi d’auguri all’ora. Si era agli albori di internet: adesso ne sarebbero arrivati 300.000.
Finalmente il ritorno in campo, che avviene prima del previsto. Il 12 aprile 2000 è in programma la finale di andata di Coppa Italia tra Inter e Lazio, partita di cartello in notturna. Ronaldo subentra a Mutu al minuto numero tredici della seconda frazione. Dopo 6 minuti scatta verso l’area laziale con una progressione classica del suo repertorio, ma improvvisamente si piega e cade rovinosamente a terra lanciando un grido che falcia l’aria raggelata dell’Olimpico. Il legamento rotuleo del ginocchio destro ha ceduto di schianto. Simeone, ora alla Lazio ma suo grande amico, è il primo ad accorgersi dell’accaduto e urla di far entrare la barella. Lippi si copre il volto come per piangere. Sullo stadio cala una coltre gelida.
Nei giorni successivi gli attestati di incoraggiamento sono unanimi. Gli avversari non mancano di mandargli messaggi di auguri e di pronta guarigione. All’Inter sono sicuri che tornerà più forte di prima. Però ancora una volta c’è la netta sensazione che nulla sarà più come prima, come quel primo anno indimenticabile. Dopo quella maledetta finale del Mondiale Ronaldo non è più lui. C’è la sensazione terribile di vedere un campione del passato. Forse di essere di fronte ad un ex-giocatore.
Le polemiche infuriano e travolgono Saillant. Che risponde con flemma quasi ieratica e un po’ strafottente: “Cosa è successo? Me lo chiedo anch’io. Purtroppo in medicina e in chirurgia capitano cose inattese e sorprendenti. Non abbiamo accelerato i tempi, anzi li abbiamo rispettati e persino rallentati. Ronaldo ha seguito scrupolosamente la tabella di marcia e i programmi che avevano stilato”. E conclude: “Quello che è successo all’Olimpico non è colpa di Ronaldo, non è colpa mia o colpa degli specialisti che l’hanno operato o hanno accompagnato la sua riabilitazione e non è certo colpa della società. Purtroppo, incidenti come questo fanno parte della casistica”. Anche qui la sensazione di “detto e non detto” aleggia nell’aria.
Lo stop è lungo, lunghissimo. Ronaldo salta l’intera stagione successiva. Torna il 19 agosto del 2001, trovando un nuovo mister, l’”hombre vertical” Hector Cuper, fautore del miracolo Valencia. Difficile valutare se sia felice o meno. Il volto è così cambiato da quello del 1997. Non ha più i lineamenti da bambino felice. Sorrisi, molti meno. E’diventato uomo, s’è rafforzato, s’è disciplinato. Ma non è più il Ronaldo che il Brasile, l’Olanda e la Spagna avevano plasmato. Quella stagione 2001-02 deve portare in dote lo scudetto: ma, per farlo, bisogna passare dai gol del Fenomeno.
IL 5 MAGGIO
La stagione 2001-02 si apre per l’Inter con una goleada casalinga contro il Perugia. Ronaldo non c’è, al suo posto gioca Kallon che mette a segno una doppietta. Bene anche Vieri, al rientro, che la chiude con due gol al 91° e al 94°. Parte male la Roma detentrice dello scudetto (1-1 a Verona contro l’Hellas) mentre la Juve fa la voce grossa in casa battendo 4-0 il Venezia.
All’inizio del campionato, però, a tirare la carretta per l’Inter non sono i due attesi campioni, Ronaldo e Vieri, alle prese con infortuni e riabilitazione, ma le due riserve: Kallon e Nick Ventola. I quali fanno un figurone, consentendo all’Inter di prendersi la testa della classifica alla giornata numero cinque battendo il Bologna e approfittando della concomitante sconfitta casalinga della Juve contro la Roma. La sorpresa della prima parte di stagione è il Chievo dei miracoli, un sobborgo di Verona che si erge a protagonista della Serie A con in panca Del Neri e telecomandata in campo da Eugenio Corini.
Il ritorno del Fenomeno avviene ufficialmente il 9 dicembre del 2001. Lo aspettano tutti, a partire dal compagno di reparto Vieri, che lo lancia verso il gol con un assist al millimetro. La pratica Brescia viene sbrigata con un perentorio 1-3: l’Inter conserva la testa della classifica con 28 punti, + 2 sul Chievo e sulla Roma, + 5 sulla Lazio e sul Milano, + 7 sulla Juve in difficoltà.
Il Ronaldo-show arriva però nel recupero della 6° giornata: doppietta al Verona. La conferma che il Fenomeno sta bene, non solo fisicamente, ma pure di testa.
A gennaio cominciano i problemi. La Roma diventa capolista approfittando del passo falso dei nerazzurri contro la Lazio mentre la Juventus comincia a macinare triturando l’Udinese in casa. E’la 17° ed ultima giornata del girone di andata. Roma prima, Inter seconda e Juve quarta.
Arriva la primavera e l’Inter finalmente ritrova un Recoba decisivo. Nella partita decisiva contro la Roma, alla 28°giornata, il “Chino” butta dentro una doppietta che rimette in prima posizione i nerazzurri. La rinascita del talento uruguagio è tutta merito del sergente di ferro Cuper che lo ha fatto rendere al meglio. L’unico altro allenatore che era riuscito a valorizzarlo al meglio è stato Novellino. I due mister si somigliano: poca tattica, tanto allenamento, sono abituati a prendere i testicoli dei loro giocatori all’inizio dell’anno e a mollarli solo a fine stagione. Nessuna debolezza, l’Inter è una classe operaia con una difesa solida comandata da Materazzi e Cordoba, sulle fasce gli stantuffi Zanetti e Conceicao, a centrocampo due polmoni inesauribili come Di Biagio e Cristiano Zanetti e in avanti la coppia dei sogni. Per tanti versi, somiglia all’Inter 97-98 di Simoni. A incoronare la squadra di Moratti è proprio il giornale sportivo pro-Juve per eccellenza, Tuttosport, il cui direttore Javier Jacobelli esclama: “A San Siro la più bella e la più grande Inter degli ultimi tredici anni ha schiantato la Roma campione d’Italia, l’ha piantata al secondo posto ed è andata in fuga verso lo scudetto”.
Il centesimo campionato di Serie A è avvincente e combattuto sino all’ultimo, degna preparazione del calcio italiano per il Mondiale nippo-coreano.
La Juventus da gennaio in avanti ha tenuto un ruolino di marcia che le ha consentito di recuperare punti e ora promette di dar battaglia per lo scudetto. La squadra di Lippi (cavallo di ritorno dopo l’esperienza negativa proprio all’Inter) è forte di una spina dorsale formata da Buffon, Thuram, Nedved e Trezeguet. La Roma di Capello è quella dell’anno prima, campione d’Italia. L’Inter di Ronaldo dà però la sensazione di essere davvero all’anno buono.
Una svolta arriva però alla trentesima di campionato, quando l’Atalanta batte a domicilio l’Inter. Per i nerazzurri è una sconfitta che apre una mini-crisi. La squadra appare spompata perché Cuper l’ha tirata ai duecento all’ora. In Coppa Uefa arriva in semifinale col fiatone e viene sconfitta 1-0 in casa dagli olandesi del Feyenoord. Al ritorno finisce 2-2 e il sogno della finale svanisce.
Alla terzultima di campionato altra debacle. L’Inter si fa raggiungere dal Chievo e consente alla Juventus di portarsi a ridosso. I nerazzurri sanno che prima finisce il campionato meglio è.
Alla penultima c’è il Piacenza in casa: finisce 3-1 ma c’è da soffrire.
Alla vigilia dell’ultima giornata la classifica si presenta così: Inter 69 punti, Juve 68, Roma 67.
E'il 5 maggio 2002. In programma c’è Lazio-Inter e lo stadio Olimpico è colorato di nerazzurro. I tifosi biancocelesti, gemellati storicamente con quelli dell’Inter, vogliono festeggiare lo scudetto interista sugli odiati rivali della Roma e sulla Juventus. Tutto è pronto per le celebrazioni di uno scudetto atteso 13 anni.
I giocatori interisti si fanno il tunnel che porta al campo con le facce da patibolo dei condannati a morte. La consueta pacca di Cuper sul cuore di ogni calciatore sembra la sentenza di condanna. Sugli spalti Moratti e Tronchetti-Provera sorridono, ma c’è la netta sensazione di qualcosa di negativamente sospeso.
Ad Udine, la Juve chiude la pratica in pochi minuti.
A Roma l’Inter comincia bene con il gol di Vieri. Pareggio quasi immediato di Karel Poborsky. Al 24° Fernando Couto regala un corner all’Inter: ne approfitta Di Biagio che gira di testa mandando il pallone nel sacco con Peruzzi colpevole. Sembra l’inizio della festa, ma non è così. Nel primo minuto di recupero il terzino sinistro nerazzurro Gresko appoggia un pallone timido verso Toldo. I due non s’intendono e dal nulla spunta ancora Poborsky che insacca con un tiro rabbioso, prende il pallone e incita la curva.
Nell’intervallo Cragnotti scende negli spogliatoi comandando ai suoi di vincere la partita per arrivare in Coppa Uefa visto che il Bologna sta perdendo contro il Brescia di Roberto Baggio.
Al ritorno in campo i laziali macellano gli interisti mandando prima a segno l’ex Simeone (che non esulta) e poi chiudendo la pratica con Simone Inzaghi (tifoso interista). In quei minuti che portano alla tragedia sportiva dell’Inter l’immagine simbolo è quella di Ronaldo in lacrime in panchina. Un’immagine che proietta il calcio italiano nel nuovo millennio.
L’epilogo è forse il più clamoroso del football nostrano, degna fine della centesima stagione di Serie A. Quella sensazione negativa si rapprende nel volto martoriato del Fenomeno che vede ancora svanire la possibilità di vincere per lui e per il suo amato presidente Moratti. Materazzi butta in faccia a Stam la sua rabbia dicendo: “Due anni fa vi ho fatto vincere lo scudetto”. Si riferisce allo scudetto del 99-00, vinto dalla Lazio grazie alla contemporanea sconfitta della Juve nel fango di Perugia. Peccato che Stam, in quella stagione, giocava nel Manchester United. La maledizione dell’Inter continua.
FINALMENTE IL MONDIALE
Ronaldo prima di partire per il ritiro con la nazionale brasiliana pre-mondiale litiga con Cuper e poi va da Moratti a imporgli il suo diktat: o lui o me. Sui giornali escono degli spifferi, ma pochi e confusi. La verità si saprà in tempi brevi.
Nel frattempo il Fenomeno cerca di lasciarsi alle spalle le scorie interiste e di buttarsi sull’avventura mondiale. In Giappone e Corea si gioca la Coppa del Mondo del 2002 e lui è la star indiscussa. Non finirà come quattro anni prima, ne è sicuro.
In panchina, anzitutto, siede Scolari, i cui allenamenti blandi sono l’ideale per lui e per i verdeoro. La squadra è nettamente più forte di quella che ha perso contro la Francia. I terzini sono Cafù e Roberto Carlos, i migliori del mondo. A fare legna ci pensa Gilberto Silva, a inventare si occupano Juninho, Rivaldo e Ronaldinho. Tutti a sostegno del Fenomeno, che parte con il piede giusto segnando alla Turchia.
Si replica l’8 giugno con la passeggiata contro la Cina di Bora Milutinovic, si conclude il girono distruggendo il Costa Rica 5-2. Per il Fenomeno 4 gol in 3 match.
Agli ottavi del Mondiale va in scena il furto a mano armata compiuto contro l’Italia. A beneficiarne sono i padroni di casa della Corea del Sud, che replicano la ruberia nel turno successivo stavolta contro la Spagna.
Il Brasile avanza come un carrarmato facendo fuori il Belgio (altro gol di Ronaldo), l’Inghilterra (papera di Seaman) e infine la Turchia (ancora rete del Fenomeno). I verdeoro sono quasi irresistibili, anche se spesso i giornali invocano la mancanza di spettacolo. Il Mondiale non è spettacolare, quello è vero, ma ai tifosi brasiliani questo poco importa. Loro vogliono solo il quinto titolo, quello di pentacampioni. La difesa è solida, le fasce sono preda di quei due terzini d’assalto e comunque il gioco della Selecao è nettamente migliore di quello degli antagonisti, gli unici rimasti, i Tedeschi.
La Germania, sempre lei. Lineker diceva: “Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone e alla fine vincono sempre i Tedeschi”. Ecco, più o meno va così da cinquant’anni buoni. La squadra teutonica è, appunto, teutonica. Cioè coriacea, granitica, non creativa ma efficacissima. Ha in Ballack il suo diamante e in Klose il suo cannoniere. In semifinale ha fatto giustizia dei Coreani superandoli per 1-0, il minimo indispensabile. Il portiere Kahn, sinora strepitoso e candidato per il Pallone d’Oro, fa ancora il suo e anche di più.
In finale s’incontrano dunque Brasile e Germania, che mai si sono affrontate in un Mondiale. Bè, il precedente del ’74 non conta perché quella era la Germania Est.
I Tedeschi nel primo tempo tengono in scacco i Brasiliani prendendo un palo con Neuville. Poi nella seconda frazione si scatena il Fenomeno. Al 67° Ronaldo recupera palla su Hamann e serve Rivaldo che calcia in porta: Kahn fa l’unico errore del suo Mondiale (e forse della sua carriera) e sulla corta respinta Ronaldo s’avventa come un falco siglando l’1-0. All’80° Kleberson fa filtrare un pallone col contagiri, velo di Rivaldo che favorisce Ronaldo, il quale in un amen controlla e calcia fulminando ancora Kahn. 2-0 e tutti a casa. Coppa del Mondo al Brasile, 5 maggio dimenticato e finalmente un trionfo.
L’INGRATO ADDIO
Il 2 luglio 2002 sono in corso i festeggiamenti per il titolo mondiale e Ronaldo mette le mani avanti. Molto avanti. Il quotidiano spagnolo As raccoglie una sua dichiarazione a caldo: “Se il Real Madrid mi vuole, mi chiami. Io sono dell’Inter, quindi se mi vogliono chiamino la società nerazzurra e ne discuteremo insieme tutti e tre”. Il Fenomeno, di sua iniziativa, si mette sul mercato e intavola già la trattativa. Niente male.
Moratti risponde a breve giro: “Ronaldo resterà all’Inter al 110 per cento perché deve farsi vincere lo scudetto.
Il giorno dopo, 3 luglio, il procuratore Martins conferma: “Ronaldo tornerà in Italia e tornerà per vincere lo scudetto con l’Inter, lavorando con allegria”.
Cominciano le danze anche della stampa italiana che dà già le cifre dell’affare: 100 milioni di euro per l’Inter e ingaggio da 7-8 milioni per il Fenomeno. La boutade fuori luogo subito dopo la fine della finale non ha dato una grande mano a distendere i rapporti fra il fuoriclasse e Hector Cuper. Per il quale tutti i giocatori sono uguali, non esistono favoritismi.
Il 7 luglio Ronaldo conferma: “Il Real è una grande squadra, uno dei club più importanti al mondo. Ma loro hanno la loro squadra e io ho la mia, che è l’Inter. I miei problemi (con Cuper, nda) sono risolti da molto tempo e devo fiducia a Moratti, che mi è stato vicino. Quando mi sono infortunato e poi in seguito, lui e la squadra mi sono stati di grande conforto e per me è stato importantissimo. Voglio rispettare il contratto con l’Inter”.
In realtà il Fenomeno mente. In Brasile il fatto che lui voglia lasciare l’Inter è il segreto di pulcinella. Che viene fuori all’inizio di agosto, quando la radio spagnola Cadena Ser annuncia l’imminente accordo tra il Real Madrid ed il fuoriclasse. I giornali iberici passano la notizia e finalmente Jorge Valdano, numero due della Casa Blanca, dichiara ufficialmente l’interessamento: “Questo pomeriggio ho ricevuto Alexandre Martins, che mi ha espresso la volontà del calciatore di lasciare l’Inter. Io, però, gli ho risposto che abbiamo un patto di amicizia con l’Inter, per cui non possiamo trattare alcun giocatore senza il consenso del club che lo ha sotto contratto. Per questo motivo, appena Martins è uscito dal mio ufficio, ho subito telefonato al direttore sportivo interista, Terraneo, riferendogli tutto”.
La verità, anche stavolta, è diversa. Ronaldo si è già accordato col Real e il Real gli ha già dato l’affare per concluso senza parlarne con la società nerazzurra. Una scortesia che Moratti, uomo tutto d’un pezzo, prende male. In vacanza a Forte dei Marmi, dichiara con fermezza che il Fenomeno non è sul mercato e che non ha nessuna intenzione di trattare.
Nel corso del mese di agosto, però, la volontà di Ronaldo diventa palese quando rifiuta di posare per il fotografo della Panini. Teme che la sua figurina possa diventare una figuraccia.
I rapporti con Cuper sono al lumicino e anche la squadra l’ha scaricato.
Per Moratti rimane un’unica via: vendere il suo fuoriclasse sperando di ricavarci il più possibile. L’accordo arriva il 31 agosto e prevede la cessione di Ronaldo al Real Madrid per 45 milioni di euro di cui 35 da pagare in tre rate annuali, mentre entro dicembre l’Inter deciderà se incassare gli altri 10 oppure scegliere un giocatore tra McManaman e Solari. Alla fine si opterà per acquistare Solari, che si rivelerà un bluff.
Il 1° di settembre Ronaldo parte da Milano dichiarando: “Me ne vado come Giuda”.
Il giorno dopo si presenta alla Casa Blanca di Madrid. Poi, il 25 settembre, finalmente vuota il sacco: “Sono andato via perché non volevo più essere allenato da Cuper e la società lo sapeva da ben prima che finisse il campionato. Non ho chiesto più soldi, l’unica cosa che ho chiesto a Moratti è stata mandare via Cuper e lui non l’ha fatto”.
Finisce un’epoca d’oro per l’Inter ma anche per il calcio italiano, che dopo Zidane (passato anch’egli al Real) perde pure il Fenomeno.
La sua carriera prosegue al Real Madrid dei Galacticos, una formazione stellare che si completerà, negli anni, anche con Beckham e Owen. Ronaldo nel 2002-03 vince il titolo nazionale ed il Pallone d’Oro. Gli allenamenti che sostiene sono nettamente più blandi di quelli italiani e questo gli permette di mantenere un buon stato di forma durante tutto l’arco delle stagioni in Spagna. Soprattutto, cambia ruolo. Assolto dai compiti difensivi, viene utilizzato come puntero più statico, meno di movimento. La squadra, poi, è davvero piena di talento. Alla fine della carriera al Real conta 117 presenze e 104 gol.
Nel gennaio 2007 Ronaldo si trasferisce al Milan, ennesimo sgarro a Moratti. Segna anche in un derby, poi vinto 2-1 dall’Inter. Ma non è più quello di prima.
Il vero Fenomeno si è visto all’inizio della sua carriera, soprattutto in quella strepitosa stagione 1997-98 che ha fatto sognare i tifosi interisti e non solo. Al Real, infatti, è una macchina da gol, ma non più la splendida Maserati su due gambe che si pensava fracassasse i record internazionali di ogni tempo. Rimane il rimpianto che in Italia, in quelle cinque stagioni, Ronaldo non sia stato allenato come davvero avrebbe dovuto essere. Forse avrebbe avuto bisogno di un altro trattamento da parte degli allenatori. Qualcuno che avesse detto alla squadra: “Lui è speciale, agiamo di conseguenza”.
Quel sorriso ingenuo, purtroppo, è sparito troppo presto.