La brezza che viene da occidente,
mite come i baci dell’amore coniugale,
scherza intorno alle mie languide membra stanche,
sotto alla splendida ombra dell’antico olmo
io riposo, esausto per il calore del mezzogiorno:
mentre increspandosi sul suo letto addobbato di sassi,
il rapido ruscelletto scorre ai miei piedi,
dispensando frescura. Sull’orlato margine
tanti fiorellini sollevano le loro teste, - tanti narcisi
rosati e sontuosi. E’qui che, a mezzogiorno,
vengono a riposarsi le ninfe dei boschi con ai piedi i loro coturni,
che lavano in questa sorgente; qui, al sicuro
da Pan, o dal selvaggio satiro, si divertono:
o stravaccate sull’erba di velluto,
cullate dall’affannosa ape, o dalla passionale mosca,
invocano il dio del sonno.
Ascolta! Con quanta gioiosità, dalla torre lontana,
suonano le campane del villaggio! Sulla brezza
portano la loro graduale armonia, ben distinguibile e rumorosa;
presto però muoiono nelle orecchie meditabonde,
mischiandosi ad una musica più lieve. E' presagio di
un giorno di giubilo, e spesso accompagnano,
mescolate con i suoni della spiaggia deserta,
la melodia danzante del villaggio con i suoi tamburi,
sorprendendo l’assorto orecchio della Solitudine.
E’il gioioso risveglio del Giorno della Pentecoste,
quando la felice Superstizione, vecchierella borbottante,
fa bella mostra di sè con le sue innocue capriole. Tutto il giorno
i rustici festaioli ballano l’intrecciata danza
sui prati lisci e sbarbati, e poi alla sera
cominciano i riti ed i presagi innocenti;
e tante storie dei tempi passati s’affollano nell’aria.
Raccontano del veggente, le cui potenti magie
possono imprigionare la laboriosa luna,
o catturare le stelle fisse dalle loro altezze,
e addirittura fermare la tempesta di mezzanotte. E poi
raccontano degli spettri usciti dagl’ossari, visti luccicare
lungo il poco battuto sentiero del bosco solitario,
che colgono di sorpresa il viaggiatore notturno; mentre il suono
di mormorii indistinti, uditi arrivare
dall’oscuro centro della valletta infossata,
colpiscono il suo orecchio gelido.
Oh, Ignoranza!
Sei la migliore amica dell’uomo colpevole! Corre insieme a te
con frigida apatia lungo la strada.
E mai la lacrima dell’agonia
brucia sulla cocente guancia; o l’appuntito ferro
di una sensazione ferita penetra nel suo petto.
Anche ora, mentre siamo chini su questo odoroso argine,
io assaggio tutta la più nitida felicità
che i raffinati sensi possono percepire – Anche ora il mio cuore
sverrebbe se mi inducesse ad abbandonare il mondo,
a togliermi tutti i vestiti, e nei pascoli del pastore,
con un piccolo gregge, ed un piccolo giunco,
soggiornare nel sottobosco. – Allora i miei pensieri
descriverebbero gai dipinti di ideali,
che potrei quasi sbagliare nonostante la ragione,
e trasgredire il mio giuramento.
Così è la vita.
La prospettiva lontana sembra sempre più felice,
ma quando viene ottenuta, ne arriva un’altra,
ancora più bella della precedente, - e così ancora
con gli stessi pericoli, e con lo stesso smarrimento.
E noi poveri pellegrini immersi in questo labirinto orribile,
sempre infelici, inseguiamo la forma della bellezza
di una astratta Felicità da trovare
dentro alla vita immersa nella discordia,
simile ad una aerea bolla e ad un inganno.