Hermann Schultze-Delitzsch, il fondatore della prima cooperativa di credito
Hermann Schultze-Delitzsch, il fondatore della prima cooperativa di credito

Solo dopo il Quarto Concilio Lateranense papa Leone X firmò la bolla che ne autorizzava l’esistenza. Era il 1515.
Da quella data chiunque poteva offrire in pegno dei beni mobili recuperabili nel tempo dietro restituzione della somma ricevuta incrementata di un piccolo tasso di interesse necessario a coprire le spese dell’istituto.

L’importanza e la funzione dei Monti di Pietà diminuiscono notevolmente nel corso dell’Ottocento, quando l’artigiano o il piccolo commerciante ha bisogno di accedere al prestito in modo più moderno e consono alla nuova rivoluzione industriale. Da qui i politici economisti si rendono conto che debbono creare una nuova istituzione.
Il primo a scriverne è Pierre Proudhon: è compito del potere scegliere fra venticinque milioni di lavoratori (che gli chiedono capitali a buon mercato in cambio del loro appoggio) o poche migliaia di monopolisti privati. Il vescovo di Magonza, Wilhelm Ketteler, ritiene invece che a prestare soldi debba essere non lo Stato, ma la Chiesa, in tal modo perpetuando l’istituzione del Monte di Pietà.
Queste prime concezioni portano con sé un equivoco di fondo: distribuendo gratuitamente il denaro agli operai o ai contadini li si lega all’istituzione che li finanzia, rendendoli dipendenti. La soluzione migliore invece è quella di cooperare, cioè operare con, operare insieme.
Il primo a fondare, nel 1852, una cooperativa di credito è il tedesco Hermann Schultze-Delitzsch: gli aderenti si obbligano a prestare garanzia solidale per tutti i debiti che potrà incontrare la società, ma nel contempo tale società finanzierà il socio (sempre nei suoi limiti prestabiliti). Tale banca cooperativa viene quindi fondata da 175 persone che conferiscono mensilmente alla società le proprie quote ed alla fine dell’esercizio si ripartiscono i guadagni. Garantiscono, però, una liquidità immediata per tutti, a tassi di interesse minore.
Il successo è immediato, tanto che nel 1865 in Germania e in Austria vi saranno ben 961 cooperative, più o meno grandi.

In Italia il movimento cooperativo arriva nel 1854 a Torino, dove viene costituito il Magazzino di Previdenza, che acquista le derrate all’ingrosso e le distribuisce a prezzo di costo. Le fa eco, ad Altare (in Liguria, nella Val Bormida), la fondazione di un istituto dipendente dai vetrai.
Le nuove idee infiammano un giovane ebreo italiano, Luigi Luzzatti, il quale, appena ventenne, tenta un primo esperimento dando vita a una cooperativa di gondolieri veneziani. L’iniziativa però viene osteggiata dall’Austria, allora padrona della Serenissima, e quindi Luzzatti si trasferisce a Milano. Nel 1863 egli pubblica un libro: La Diffusione del Credito e delle Banche Popolari. In questo volume esprime chiaramente le sue idee: “Oggidì i piccoli commercianti e fabbricatori possono a stento resistere alla grande industria, che sempre più invade la società e corrisponde al principio eterno della natura: l’economia della forza. Mediante l’uso del credito questi commercianti e fabbricatori potranno associarsi insieme e temperare i danni momentanei che spesso accompagnano il progresso di un popolo”.
Il Luzzatti prende così contatto con Tiziano Ralli, esponente della società di mutuo soccorso di Lodi. I due si intendono e collaborano per fondare, il 28 marzo 1864, la prima banca popolare d’Italia, appunto a Lodi.
L’obiettivo della banca popolare è quello di aprirsi ai contadini, agli operai, ai piccoli commercianti, che potranno godere di tassi molto agevolati.

L’idea di Luzzatti e Ralli prende piede in brevissimo tempo. Nel 1902 saranno 736 le banche popolari. L’espansione del fenomeno porta alla fondazione, nel 1876, dell’Associazione delle Banche Popolari presieduta da Luzzatti stesso. Il suo motto: “Indipendenti sempre, isolati mai”.
Via via che le banche popolari si diffondono, si avverte l’esigenza di approfondirne il funzionamento. Nel corso degli anni adeguano i loro strumenti e le loro procedure, andando sempre più ad assomigliare agli ordinari istituti di credito, ma senza snaturare la loro idea iniziale: è l’uomo che conta, non il ceto sociale.

Nel contempo, sulla falsariga delle banche popolari, nascono anche le casse rurali ed artigiane, che alla fine del 1904 ammontano a 904, diffusissime soprattutto in nord Italia (Veneto, Lombardia, Piemonte). Si noti che la maggior parte delle casse rurali, in Italia, venne fondata da don Luigi Cerutti. La Chiesa, alla fine dell’Ottocento, sta cercando di superare l’isolamento religioso e di inserirsi nell’ambiente del proletariato campagnolo. L’enciclica Rerum Novarum, del 1891, rende libero ogni ecclesiastico di impegnarsi nell’azione sociale. La conseguenza, dunque, è la proliferazione delle casse rurali.
In dieci anni il fenomeno si allarga a macchia d’olio: nel 1915 il numero arriva a 2.594, delle quali ben 2.002 di impronta cattolica.
Nel 1919, staccandosi dalla Lega Nazionale delle Cooperative, le casse rurali di ispirazione cristiana, cioè quasi tutte, si uniscono alla Confederazione Cooperativa Italiana. L’avvento del fascismo rende loro la vita difficile, ma nel dopoguerra è ancora boom: il numero aumenta e le strutture vengono rese al passo coi tempi.
Molte casse rurali ed artigiane, che da allora saranno chiamate con l’acronimo di CRA, si fondono insieme per diventare più forti e robuste. La legge del 4 agosto 1955, n. 707, regola dettagliatamente le caratteristiche di dette società; dispone inoltre che i soci debbano essere in prevalenza agricoltori o artigiani e ne limita l’attività al territorio del comune nel quale la cassa ha sede, salvo deroghe autorizzate dalla Banca d’Italia.
Le CRA costituiscono nel 1963 l’Istituto di Credito delle Casse Rurali ed Artigiane (ICCREA), che ha sede a Roma. Istituti squisitamente locali, che coinvolgono nel paese decine di migliaia di famiglie chiamate ad amministrare la “loro banca”, le CRA vivono in funzione del loro Comune, che dà loro forza e coesione. Non avendo ufficialmente scopi di lucro, possono concedere prestiti a tassi inferiori a quelli delle altre banche. Puntano e vivono sui loro soci: fino a pochi anni fa erano anche i riferimenti per organizzare le vacanze o il dopolavoro.
Con l’avvento del Duemila, molto di ciò che propugnavano le prima Casse Rurali e le prime Banche Popolari si è perso: soprattutto lo spirito di aggregazione. Però l’idea è sempre ampiamente attuale.