Birrai nel Medioevo
Birrai nel Medioevo

Veniva chiamata sikaru e i racconti mitologici, come l’epopea di Gilgamesh, ne facevano ampio riferimento.
Situata tra i due grandi fiumi della Mesopotamia, il Tigri e l’Eufrate, Sumer era il luogo ideale per la nascita di una civiltà agricola. Il clima, che allora era più temperato di quello attuale, facilitava la crescita di orzo, grano, miglio e farro. In più la concomitanza con i due corsi d’acqua favorì, come in Egitto, la formazione di una civiltà “dei cereali” il cui sviluppo coincide con quello dell’agricoltura.
I testi antichi che trattano della fabbricazione della birra riferiscono che ne esistevano almeno venti tipi diversi: di grano, di orzo, di farro, di miglio, prodotte dal miscuglio di questi cereali. I chicchi, macinati e ridotti a finissima farina, venivano mescolati all’acqua in modo da formare una pappa densa che, cotta al sole, forniva una specie di pane. Questa pappa veniva lasciata fermentare sino ad ottenere la bevanda. Naturalmente, anche a quell’epoca v’erano diversi gradi di fermentazione.
La birra era utilizzata anche come merce di baratto, come rimedio farmaceutico, come bevanda sacra in alcune cerimonie religiose. Il monumento Blau, datato 3.000 a.C., raffigura un’offerta di birrra alla dea Min-Harra.

Quando i Babilonesi distrussero la civiltà dei Sumeri mantennero la coltivazione di cereali e quindi la produzione della birra, addirittura regolamentandone la vendita. Nel codice di Hammurabi (XVIII secolo a.C.), all’articolo 108: “Se una ostessa non ha voluto accettare dell’orzo come pagamento di una certa quantità di birra ma ha preteso del denaro sonante, o se ha ridotto la quantità della birra rispetto a quella dell’orzo, sia giudicata colpevole e annegata”. Bene, questo testo spiega quale era la conseguenza per chi speculava sulla quantità della bevanda.
I sacerdoti di alto rango non potevano assolutamente frequentare le taverne e venivano puniti con la morte se colti a bere birra.

Anche gli Assiri, che distrussero a loro volta i Babilonesi subentrando nel dominio della “mezzaluna fertile” mesopotamica, diffonderanno la birra in tutto il Medio Oriente. I fabbricanti di birra, esentati dal servizio militare, dovevano però seguire gli eserciti nelle campagne per rifornirli di quel nettare divino.

L’Egitto, la prima grande civiltà millenaria, non faceva eccezione alla produzione della birra. Testimonianze in questo senso ce ne sono moltissime: affreschi murali, tombe, statuette, racconti di viaggiatori. Attribuita nella mitologia alla dea Osiride, veniva prodotta fermentando orzo e frumento e zuccherata con l’aggiunta dei datteri. Veniva chiamata zythum.
Come a Sumer, anche in Egitto le varie città producevano birre diversissime per sapore e lavorazione. La “capitale” della birra era Pelusio (attuale Porto Said), che i Greci conoscevano benissimo, come dimostrano i racconti di Erodoto al proposito.
La gradazione alcoolica della birra egizia andava dai 13 ai 15 gradi, leggermente di più dei Sumeri, e ne esistevano di chiare, di scure, di aromatizzate al miele o allo zenzero. La tecnica di fabbricazione divergeva leggermente da quella di Sumer. Il malto d’orzo veniva ridotto in farina e poi mescolato con l’acqua. Con la pasta che se ne ricavava si modellavano delle forme di pane. Dopo essere stati portati a mezza cottura nei forni, questi pani venivano sbriciolati in acqua zuccherata con miele, zenzero o datteri (a seconda del gusto che le si voleva conferire). Fermentato l’impasto si versava il prodotto in un otre e bevuto in breve tempo, perché non si conservava per molto.

Quando le potenze del Mediterraneo presero il controllo sulle civiltà egizie e mediorientali, la birra entrò in crisi. Sostituita dal vino, veniva consumata di rado. In Grecia non v’era alcun vocabolo per indicarla. Nell’Impero Romano era poco diffusa: la bevevano soltanto i liguri; costava pochissimo ed era considerata una bevanda tipica di popoli barbari.

Al di là dell’Impero, i popoli “barbari” facevano appunto man bassa della birra. I Celti, gli Scandinavi, i Germani, la consumavano a grandissime quantità. All’epoca dell’invasione romana in Gallia c’erano tantissime birrerie e tantissimi mastri birrai. Nell’antica Scandinavia i poemi e le saghe parlavano spesso di una bevanda sacra chiamata bjor, ol o ale (vocabolo che rimarrà tale anche nell’inglese moderno).

La caduta dell’Impero Romano d’Occidente segna il trionfo di quelle civiltà barbariche che prima erano sottomesse ai Romani. La birra diviene la bevanda principale dell’Occidente, una vera e propria moda. Nel VII secolo d.C. Isidoro di Siviglia descrisse così la fabbricazione della celia spagnola: “Si fa germinare il chicco, lo si essicca, lo si riduce in farina e si bagna con acqua; quando il tutto è fermentato acquista un certo sapore nonché delle proprietà inebrianti”.
Nelle città medioevali un posto di primo piano avevano i birrai e coloro che producevano la birra. Il pericolo di incendi porterà alla costruzione di forni pubblici dove ogni famiglia poteva, a turno, cuocere il pane e preparare la birra.

Naturalmente nel mondo medioevale i conventi erano i luoghi principali di fabbricazione delle birre. Ogni monastero aveva la propria birreria. Tutti i monasteri, quando accoglievano i pellegrini, davano loro cibo e birra. I monaci amanuensi tramandarono il loro modo di produrre la bevanda: ed è sorprendente notare che ne inventarono migliaia. Grazie a questi trascrittori la produzione di birra si diffonderà e si perfezionerà moltissimo nel corso dei Secoli Bui, cioè fino all’Anno Mille.
La birra, per i monaci, era però anche un bel pericolo. Il concilio di Aix-la Chapelle dell’817 regolamentò il consumo della bevanda e proibisce la produzione della “birra di vino”: un miscuglio ritenuto troppo eccitante. I due concili successivi (a Worms e a Treviri) confermeranno queste normative.
L’accresciuta ricchezza dei monaci, la fama delle loro birre e gli sforzi costanti nel migliorarle, furono all’origine dei progressi in quest’arte. Decisivi furono in particolare l’introduzione del luppolo come ingrediente e la tecnica della fermentazione ridotta.

Alla fine del Medioevo i monasteri persero la loro leadership nella produzione della birra a favore delle grandi birrerie “industriali”. La Riforma Luterana, sbocciata a macchia d’olio in Germania, Svizzera e nei paesi nordici, rappresentò un ulteriore indebolimento delle produzioni artigianali.
Nacquero le prime corporazioni di birrai che sperimentarono sempre nuove tecniche di fermentazione del luppolo, divenuto l’ingrediente principale. Si aggiunsero alle ricette anche le erbe aromatiche.
Sorsero le prime, vere, fabbriche di birra, che venivano costruite naturalmente lungo i fiumi: quelle di Monaco in Germania e quelle di Plzen nell’odierna Repubblica Ceca furono le più celebri.
Il costante studio di migliorie portò alla scoperta che era decisiva la temperatura dell’acqua. La birra si poteva lavorare solo da ottobre fino all’inizio di aprile, cioè quando l’acqua era abbastanza fresca da poter raffreddare il tino o le botti al momento della fermentazione.

Ma ora parliamo di come effettivamente nasce la birra.
Il processo consiste in tre trasformazioni.
Prima trasformazione. L’orzo diventa malto. I chicchi di orzo, mondati e poi bagnati con acqua assorbono l’ossigeno e passano dal 15% al 45% di umidità. Dopo cinque giorni avviene la germinazione, cioè spuntano delle piccole radici e le diastasi disintegrano l’amido. Il chicco di orzo, ridotto al 4% di umidità (questa viene assorbita negli appositi essiccatoi), si è così trasformato in malto.
Seconda trasformazione. Il malto viene macinato ed impastato, si versa questo miscuglio nell’apposito tino, dove aumenta progressivamente di temperatura e sotto l’effetto della diastasi si trasforma in zucchero. Si filtra il miscuglio e si ottiene il mosto.
Terza trasformazione. Si porta il mosto ad ebollizione, gli si aggiungono i fiori del luppolo (da 100 a 200 grammi ad ettolitro) e si fa fermentare per una settimana nelle apposite vasche di refrigerazione.
Naturalmente questo processo ora è industriale, quindi standardizzato. Ma nell’antichità ogni popolo e ogni città aveva il suo processo, il suo modo di produrre la birra. Anche i contenitori, tini o botti che siano, sono (e furono) importantissimi.

Tra le birre “storiche” ne menzioniamo alcune.
La Pilsener Urquell, prodotta nella già citata città ceca di Plzen.
Poi le birre tedesche, come la Bavaria St. Pauli prodotta ad Amburgo, la Henninger di Francoforte, la Kronen di Dortmund (già celebre nel 1430), la Beck’s di Brema.
In Danimarca troviamo la Tuborg, la Carlsberg e la Odin di Viborg.
In Belgio i monasteri fanno ancor oggi la parte del leone nelle produzione di birre: la migliore e più famosa è la Stella Artois, ma tantissime altre escono dalle botti dei Frati Trappisti.
Poi l’Olanda: ecco la Amstel e la Heineken.
Infine, la Perfida Albione: Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda sono patria soprattutto di whisky, ma alcune birre sono iconiche: prima tra tutte l’irlandese Guinness, la scura più bevuta al mondo, fondata agl’inizi del 1800 da Arthur Guinness, inventore di una ricetta particolare che usa un malto tostato dal sapore molto forte, inimitabile.