Il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy
Il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy

La guerra é appena finita e il Nord si appresta ad inaugurare un decennio di industrializzazione smisurata, dalla quale deriveranno corruzione, enormi arricchimenti di pochi, immani miserie delle fasce proletarie ed operaie. A coronamento di questo malessere sociale il 2 luglio del 1881 un disoccupato, Charles Guiteau, assassina con due revolverate il presidente James Abram Garfield.
La fine secolo testimonia la nascita dell’imperialismo yankee: uno dei suoi eroi è il presidente William McKinley che vince la guerra contro la Spagna conquistando l’isola di Cuba. Sono anche anni di immigrazione selvaggia: folle di disperati (tra cui moltissimi Italiani) arrivano all’ombra della Statua della Libertà contribuendo a formare il melting pot americano, che poi diverrà la fortuna degli Stati Uniti. Nel settembre del 1901 un anarchico polacco, Leon Czolgosz, uccide con una revolverata McKinley all’Esposizione Panamericana di Buffalo.
Il 13 ottobre del 1912 un immigrato tedesco, Shrank, attenta alla vita del presidente Theodore Roosvelt: lo salva il suo astuccio degli occhiali che devia la pallottola.

Ecco: la tradizione “regicida” degli Stati Uniti d’America è piuttosto connaturata. Tanto più che il presidente accentrava (ed accentra ancora adesso) tutto il potere nelle sue mani, quindi era il frontman di tutti i disagi sociali. Un proverbio yankee recita: “la violenza è altrettanto americana della torta di ciliegie”. La storia di John Kennedy fa eccezione ma non troppo a questa regola.

L’ATTENTATO

Nel 1960 John Fitzgerald Kennedy, democratico, vince le elezioni in grande stile. E’l’uomo nuovo. L’America si lascia alle spalle i vecchi arnesi della politica postbellica. Vuole entrare a piè pari nell’era atomica e ha bisogno di un leader giovane e carismatico: é lui l’uomo giusto.
Le sue idee sono in totale disaccordo con i predecessori su due punti sostanziali. Primo: lotta contro la discriminazione razziale, in particolare contro i neri. Secondo: apertura di un dialogo con la Russia per chiudere la guerra fredda.
Non dobbiamo però pensare a Kennedy come ad un santo. Durante la sua breve presidenza continua la guerra in Vietnam e solo nel 1963 comincia a parlare di ritirare alcune migliaia di soldati (cosa che però non avrebbe mai avuto intenzione di fare, stando ai più recenti studi). Il 1962 è l’anno dello sbarco nella Baia dei Porci: un tentativo fallito miseramente di strappare Cuba a Fidel Castro. La riconciliazione con i Sovietici non viene mai messa sul tavolo del governo. E anche per quanto concerne i diritti delle minoranze si dimostra molto prudente, tanto che moltissimi attivisti lo accusano di aver strumentalizzato il voto dei ghetti deludendo le loro aspettative.
Comunque, un piccolo cambiamento avviene. Già il cominciare a parlare di riavvicinamento alla Russia e di diritti ai neri gli fa guadagnare dei nemici. Se saranno proprio questi nemici a farlo fuori, lo vedremo.

Venerdì 22 novembre 1963 (terzo anno di presidenza), Kennedy si reca in visita a Dallas, in Texas. La ragione è molto pragmatica. Il partito democratico è lacerato da lotte intestine e lui anticipa di un anno la campagna elettorale.
Il corteo di auto si snoda di fronte agli alberi della Dealey Plaza, poi imbocca la Elm Street e raggiunge il Trade Mart, l’auditorium dove avrebbe pronunciato il suo discorso. Viaggia su una limousine scoperta insieme alla moglie Jacqueline, la guardia del corpo Greer, il governatore texano Connally e la moglie di quest’ultimo. Passano davanti ad un palazzone di sei piani, il deposito dei libri della scuola del Texas. Proseguono alcune decine di metri. Lungo tutta la strada che si estende in direzione di un poggio erboso e della massicciata ferroviaria la folla plaudente lo acclama e agita bandierine. “Non potrà certo dire che a Dallas non le vogliono bene”, dice la moglie del governatore a Kennedy, sorridendo.
Sono circa le 12,30. Nell’aria risuonano degli spari. Il presidente si porta le mani alla gola. Jacqueline si volta appena in tempo per vedere la testa del marito scoppiare: i pezzi di cervello si spargono sul sedile e sul bagagliaio dell’automobile. La povera donna, con un riflesso incondizionato e quindi irrazionale, cerca di recuperarli, quasi potessero essere rimessi a posto. Rischia addirittura di cadere. La scena, se la rivedete nei filmati dell’epoca, vi sembrerà subito tragicomica. Poi però diventerà solo tragica.

L’auto, a 130 chilometri orari, raggiunge in tempo record il Parkland Memorial Hospital, dove una squadra di medici tenta disperatamente di salvare Kennedy. Un pezzo di scatola cranica si è completamente staccato: la fuoriuscita di materiale cerebrale è stata copiosa. Se (ipotesi quasi impossibile) l’avessero salvato il presidente sarebbe comunque rimasto un vegetale a vita. Invece muore, all’una del pomeriggio. Tocca al neurologo Kemp Clark sancire il decesso. Pochi momenti dopo viene informato il vicepresidente, Lyndon Johnson, che presta giuramento sull’aereo presidenziale prendendone ufficialmente il posto.

Lyndon Johnson (a sinistra) e John Fitzgerald Kennedy
Lyndon Johnson (a sinistra) e John Fitzgerald Kennedy

L’ASSASSINO

Ma chi ha sparato? Nel momento in cui sono rimbombati gli spari la confusione é immensa. La maggior parte degli agenti si è subito diretta verso la massicciata ferroviaria, ma non è riuscita a trovare nessuno.
Solo uno dei poliziotti, Marrion Baker, con l’hobby della caccia, capisce di dover tornare indietro di alcuni metri. Passa davanti al caseggiato di mattoni rossi, la biblioteca, e gli balena un’idea: se gli spari fossero venuti da lì? Entra dentro e trova Roy Truly, il direttore. Gli grida: “i colpi sono venuti da qui, dal tetto”. Cominciano a salire le scale ma si fermano al primo piano perché un uomo sta armeggiando al distributore delle bevande. Secondo Baker è sospetto, ma Truly lo rassicura: è Lee Oswald, lavora lì da molto, è un buon diavolo, non riuscirebbe a far male a una mosca. Lo lasciano perdere e proseguono verso l’ultimo piano. Lo setacciano ma non trovano nulla.

Però quando si cominciano a interrogare i testimoni le cose si fanno meno nebulose. Alcuni muratori giurano di aver visto sparare dal quinto piano di quel deposito. Il più sicuro è Edward Brennan che aveva lanciato parecchie occhiate a quell’ultimo piano: ebbene, si dice certissimo di aver visto qualcuno affacciarsi dalle finestre con un fucile. Addirittura riesce a fornire i connotati di quell’uomo: bianco, sulla trentina, alto circa 1,77 per 75 chili di peso. Un’identificazione incredibilmente perfetta. Su questa base l’ispettore che coordina le indagini, Sawyer, trasmette la descrizione a tutte le stazioni di polizia di Dallas. Alle 12,58 (poco prima della morte cerebrale di Kennedy) il capitano Will Fritz, capo della Squadra Omicidi, si decide a bloccare tutte le uscite del deposito e a tenervi consegnati tutti quelli che vi si trovano. Decisione molto tardiva.
Finalmente alle 13,12 il vicesceriffo Mooney trova tre bossoli sotto una pila di cartoni addossati ad una finestra al quinto piano. Dieci minuti dopo salta fuori anche il fucile: un Mauser. I dipendenti del deposito vengono chiamati a raccolta: manca Oswald, che corrisponde in maniera sorprendente all’identikit tratteggiato dal muratore Brennan. Alle 13,15 arriva la notizia che lo stesso Oswald ha ammazzato un poliziotto, Tippit, reo di averlo fermato con la macchina per un controllo. Il colpevole viene trovato in un cinema. Sta chiaramente scappando. I poliziotti lo massacrano di botte e poi lo portano nell’ufficio del capitano Fritz.

Da qui in poi comincia il festival della stampa. I giornalisti piombano dentro la sede della polizia con macchine fotografiche, microfoni, riflettori e tutto quanto serve per cercare lo scoop. Naturalmente il bersaglio principale è Oswald che presenta un occhio pesto e la faccia tumefatta. Sulle prime lo accusano solo di aver ammazzato Tippit, ma poi arrivano all’accusa principale: ha ucciso il presidente.
Lee Oswald è di New Orleans, ha svolto il servizio militare come marine, ha vissuto per molti mesi in Russia e ha sposato una donna russa. In quel commissariato sorride imperturbabile, quasi sarcastico, come se la cosa non lo toccasse. Ripete che non ha nulla a che fare con i due delitti, invoca un legale a sua difesa (cioè reclama un diritto sancito dalla Costituzione) e impreca contro i poliziotti.
Fritz lo torchia dal venerdì fino alla domenica ma lui si dichiara sempre estraneo alla vicenda. Incredibilmente, di questi interrogatori non rimane nulla, nemmeno un appunto o un nastro registrato.
Per dare un’accelerata alle indagini la polizia piomba a casa della ex moglie, la quale ha il dente avvelenato contro Oswald: sostanzialmente dice che è un pazzo omicida e che ha progettato di ammazzare Edwin Walker, un estremista di destra. Tutto falso. Poi conduce gli agenti nel luogo dove dovrebbe trovarsi il fucile incriminato. Dovrebbe, appunto. Il fucile non si trova.
Allora Marina Oswald viene portata in commissariato dove le mostrano il fucile ritrovato nel deposito della biblioteca. Naturalmente, lo riconosce come appartenente all’ex marito. Particolare interessante: quel fucile, classificato subito come un Mauser, magicamente diventa un Mannlicher Carcano modello ’91. Successivamente la donna, tutt’altro che sotto shock, venderà delle foto palesemente false alla rivista Life ritraenti Lee Oswald con lo stesso fucile. La “collaborazione” molto intensa offerta da Marina le varrà parecchio denaro: nelle settimane successive centinaia di misteriosi ammiratori le manderanno assegni e contanti per un totale di quasi duecentomila dollari.

Lee Oswald con un fucile: una delle foto usate per incastrarlo
Lee Oswald con un fucile: una delle foto usate per incastrarlo

IL PROCESSO

Nel paese dove tutti sono innocenti fino all’ultimo grado di giudizio, Oswald è già dichiarato colpevole. Lo ripetono fino alla noia gli inquirenti, in particolare Fritz. La stampa accetta questo dato di fatto senza batter ciglio, vogliosa di poter strapazzare un capro espiatorio.
Proprio per soddisfare il voyeurismo delle tv e dei giornali di decide di trasferire l’assassino dal commissariato alla prigione della contea alla presenza di tutti i maggiori organi di stampa. Viene addirittura comunicata al mondo l’ora del trasferimento: le dieci del mattino. La calca è mostruosa, come si vede anche nei filmati e nelle foto d’epoca. Praticamente una sorta di immensa paparazzata non molto rispettosa nei confronti del povero Kennedy.
Alle 11,20 Oswald appare in mezzo agli agenti di polizia nel garage della prigione di Dallas. Il volto è provato ma l’espressione appare comunque tranquilla e sicura. D’un tratto tra la folla si fa largo un uomo col cappello e una pistola. E’Jack Ruby, 51 anni, proprietario di un night club, “Carousel”. Arriva a un metro da Oswald e gli pianta una pallottola nel cuore, freddandolo. Ecco servito il primo assassinio in diretta TV.

Negli interrogatori-farsa che seguono Ruby sostiene di aver ammazzato Oswald per evitare alla vedova Kennedy lo choc di una testimonianza pubblica. Una scusa abbastanza puerile. Senza mai aver affrontato un vero processo, morirà in carcere il 3 gennaio 1967 a causa di un misterioso cancro.

LE OMBRE

Versione ufficiale. Lee Oswald era invidioso di Kennedy, un uomo di successo, bello, ricco e potente. Al contrario di lui, un uomo triste, lasciato dalla moglie, povero e mentalmente disturbato. Ruby, di conseguenza, si è improvvisato giustiziere della notte eliminando quell’essere spregevole. Caso chiuso per la polizia.

Per fortuna, la verità pian piano venne a galla.
Prima di tutto, l’arma del delitto. Il fucile utilizzato era stato ordinato via posta. Già qui dovremmo chiudere il reportage. Solo un imbecille di proporzioni bibliche avrebbe potuto farlo.
Secondo: il fatto che un testimone oculare avesse visto, alla distanza di quasi un chilometro, quell’uomo affacciarsi dalla finestra del quinto piano fa pensare molto. In più la descrizione fornita corrispondeva perfettamente con quella di Oswald. Aggiungiamo a questo un altro fatto strano: che subito dopo la cattura la polizia di Dallas era in possesso di un fascicolo imponente di notizie su Oswald. Queste notizie poteva averle, eventualmente, solo l’FBI e non un semplice commissariato.
Terzo: Oswald era già “seguito”. Già nel 1964 un giornale di Dallas, il Morning News, pubblicò una storia piuttosto strana e non si sa quanto inventata. Un agente dell’FBI, tale James Hosty, aveva confidato ad un amico che lui stesso stava seguendo personalmente Oswald. Questi, tra l’altro, sarebbe stato un uomo della CIA in missione in Russia, dove aveva svolto controspionaggio. Quindi Oswald dunque era legato mani e piedi all’FBI e ai servizi segreti. Addirittura si arrivò a reperire il suo numero di matricola: 110669.

Eccoci a Ruby. In passato aveva avuto contatti certi con la mafia di Chicago perché gestiva dei locali dove si giocava d’azzardo. Quindi, era ricattabile. Egli stesso confidò al suo psichiatra di essere stato parte di un piano per uccidere Kennedy e che qualcuno lo aveva assoldato per far fuori Oswald. Una volta adempiuta la sua missione, la polizia l’avrebbe lasciato in pace a gestire le sue attività illecite. Invece l’avevano incastrato. Durante tutto il tempo della detenzione (quattro anni) Ruby dimostrò sempre la voglia di parlare con i membri della Commissione Warren incaricati di far luce sulla vicenda. In realtà, questa commissione era una pagliacciata. Nessuno raccolse mai le sue confessioni e men che meno venne trasferito a Washington per un regolare processo.
Si sa per certo che Ruby intratteneva rapporti personali con la mafia della Florida, capeggiata da Santo Trafficante e Meyer Lansky. Questi ultimi due avevano creato un impero sull’isola di Cuba, finanziato e protetto dalla CIA, basato sulle bische clandestine e sulle case di tolleranza. In pratica, la mafia gestiva il gioco d’azzardo e la prostituzione a Cuba con il benestare della CIA e l’ok tacito di Fidel Castro.

Infine, i testimoni oculari. Ce n’erano diciotto: un buon numero. Nei tre anni successivi al delitto solo tre di essi morirono di morte naturale. Il Sunday Times di Londra interpellò uno studioso di statistica, il quale concluse che vi è una sola probabilità contro centomila trilioni che queste morti rispecchino una catena naturale degli eventi.
Di questi testimoni ne furono sentiti “seriamente” solo alcuni. Eppure le pagine dell’inchiesta formarono un immenso faldone di 25.000 pagine, le quali trattavano anche materie come la dentatura della mamma di Ruby e il decorso della seconda gravidanza di Marina Oswald. Un oceano di informazioni perlopiù ripetitive e inutili, atte a depistare la ricerca della verità.

Ne consegue che le teorie sui veri mandanti dell’assassinio di Kennedy si sprecano.

Jack Ruby mentre fredda Oswald
Jack Ruby mentre fredda Oswald

LE TEORIE

E’stata la mafia.
Pista molto battuta tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70. Qui bisogna partire dal presupposto che Kennedy avesse dato incarico alla CIA di far fuori Castro. Oggi questa teoria è abbastanza in disarmo, ma proviamo un momento a seguirne il nesso logico.
Kennedy incarica la CIA di assassinare Fidel Castro. La CIA incarica a sua volta la mafia. Non dimentichiamo che in quel periodo Castro, all’apice del suo potere, sta cercando di “depurare” Cuba dalle attività illecite, che naturalmente erano gestite da mafiosi. Bische clandestine, spaccio, prostituzione venivano controllate dalle famiglie storiche stile “Padrino”.
Attenzione, però. Questa “depurazione” portata avanti dal lider maximo prevedeva alcune eccezioni. La mafia della Florida, in particolare il già citato Santo Trafficante, voleva ammazzare Castro avvelenandolo. Ci era quasi riuscito all’inizio del 1963, ma Fidel aveva la pellaccia: si ammalò ma poi si riprese.
Alcuni clan, invece, non venivano toccati e i loro affari rimanevano intatti, anzi aumentavano. Quindi questi clan non avevano interesse a far fuori Castro. Al contrario, avevano interesse a far fuori Kennedy.

Sono stati i profughi anti-castristi.
Il 18 aprile 1963 viene distribuito alla comunità cubana di Miami, costituita in gran parte da profughi anticastristi, un misterioso manifestino. Eccone il contenuto: “Solo se si verifica una certa circostanza voi patrioti cubani potrete tornare a vivere liberi nella vostra madrepatria. Questa circostanza consiste in un atto di Dio che possa porre alla Casa Bianca un texano noto per essere amico di tutti i latino-americani, il quale deve oggi, nelle presenti condizioni, piegarsi ai Sionisti che dal 1905 si sono impadroniti degli Stati Uniti, e dei quali John Kennedy e Nelson Rockfeller sono i fantocci”.
Effettivamente il sentimento anti ebraico all'epoca era forte, e Kennedy veniva considerato uno dei loro paladini. Quando il presidente si era recato a Miami qualche mese prima il capo della polizia locale Headley si era rifiutato di farlo sfilare con la macchina scoperta proprio per timore di attentati. Quell’agente era stato definito da Truman come “il poliziotto più maledettamente bravo che io conosca”.
La pista dei profughi anticastristi e anti-ebrei la segue anche il procuratore di New Orleans, Jim Garrison. Questi viene a conoscenza che “un tipo inconsuetissimo aveva fatto un viaggio inconsuetissimo in un momento inconsuetissimo”. Il personaggio inconsueto era David Ferrie: omosessuale, dedito all’occultismo, esperto di cure del cancro e ossessionato dalla pornografia. Questo bell’esemplare umano era rimasto completamente calvo a causa di una malattia della pelle, così portava sempre una vistosa parrucca rossa che teneva incollata alla testa con dei cerotti. Però era astutissimo, parlava fluentemente inglese e spagnolo e intratteneva rapporti tra la CIA e i profughi cubani.
La sera prima dell’assassinio si era spostato da New Orleans a Fort Worth in Texas, dove aveva incontrato Lee Oswald. Garrison gira quindi questa informazione-bomba all’FBI, la quale però prende tempo. Il procuratore incaricato ci metterà quattro anni per far partire le indagini. Solo che quando si deciderà di incriminarlo (e quindi a portarlo a processo) Ferrie verrà trovato morto in una camera d’albergo, vittima di una emorragia cerebrale.

E’stata direttamente la CIA.
E’l’ipotesi che oggi va per la maggiore e quella che convince di più.
Oswald, uomo segreto della CIA, viene incaricato di salire al quinto piano con un fucile, di lasciarlo lì e poi ridiscendere al primo piano dove avrebbe atteso istruzioni sino all’una. Nel frattempo, una squadra di tiratori scelti si posiziona sul poggio erboso mentre un cecchino si posizione dalla finestra del quinto piano con il fucile portato da Oswald. Sono proprio questi a sparare a Kennedy. Lo dimostra anche il fatto, piuttosto acclarato, che Oswald sia stato un marine con una mira scadente.
Il povero Lee, che attende ignaro al primo piano davanti alla macchinetta, quando si vede piombare addosso un poliziotto capisce di essere stato incastrato. Solo che il direttore della biblioteca lo salva depistando l’agente e lasciando ad Oswald il tempo di scappare a casa. In quel momento incontra Tippit e lo fredda. Solo recentemente si seppe che questo Tippit aveva delle losche frequentazioni nel sottomondo di Dallas. Probabilmente era stato incaricato di uccidere Oswald, ma questi era stato più veloce di lui.
Raggiunto all’interno del cinema, ci manca poco che venisse freddato dai poliziotti, i quali avevano una gran voglia di sparargli ma la presenza di molte persone li dissaude dal proposito omicida.
Alla stazione di polizia Oswald appare tranquillo perché è convinto di non aver nulla da temere. Anzi, pensa di tenere la CIA sotto scacco. Si sbaglia. Non aveva fatto i conti con Ruby e la sua Colt. Infine, anche uno strano cancro si porta via Ruby senza che avesse potuto dire una parola.

COINCIDENZE

Incredibili la serie di coincidenze che accomunano la sorte di Lincoln con quella di Kennedy.
Entrambi sono stati uccisi di venerdì.
Entrambi sono stati freddati mentre sedevano accanto alle loro mogli.
I due uccisori furono eliminati prima del processo.
A Lincoln succedette il vice presidente Andrew Johnson, un democratico del Sud. A Kennedy succedette Lyndon Johnson, un democratico del Sud.
Il segretario di Lincoln, che si chiamava Kennedy, consigliò il presidente di non andare a teatro quella sera. La segretaria di Kennedy, che si chiamava Lincoln, aveva consigliato al presidente di non andare a Dallas quel giorno.
Andrew Johnson era nato nel 1808, Lyndon Johnson nacque nel 1908.
Entrambi si erano interessati al problema della discriminazione razziale.
Lincoln fu ucciso nel teatro Ford, Kennedy fu ammazzato a bordo di una Ford-Lincoln.
Lincoln fu eletto presidente nel 1860, Kennedy nel 1960.