Winston Churchill
Winston Churchill

Dominio quasi assoluto dell’aria, strapotere sulla terra, ma soprattutto predominio illimitato sul mare. Per la maggiore potenza navale della storia, la Royal Navy, un boccone difficile da digerire. I discendenti di Nelson e Drake surclassati da dei barbari che fino all’inizio del Novecento non sapevano quasi costruire una posamine? Inaccettabile. Bisogna trovare una soluzione.
L’uomo da cui ci si aspetta l’idea è Winston Churchill, il primo ministro britannico che poteva vantare come antenati: John Churchill, duca di Marlborough, grande generale nella guerra di secessione spagnola del XVII secolo; George Spencer, primo lord dell’ammiragliato nel governo di William Pitt il Giovane; John Spencer, luogotenente d’Irlanda durante il mandato di Gladstone. Dunque, con dei “precedenti” piuttosto pesanti.

Alla fine del 1941 la situazione per l’Inghilterra è drammatica. I sottomarini tedeschi (soprattutto) e quelli italiani avevano inflitto gravi perdite alla flottiglia franco-britannica: 616 unità erano colate a picco. E tutto faceva presagire che nel corso del 1942 le cose sarebbero andate pure peggio: i cantieri del Reich continuavano a sfornare sottomarini al ritmo di dieci al mese (che per noi del XXI secolo è una minuzia, ma per l’epoca era un’enormità).
Bene, a questo punto Churchill informò l’Ammiragliato, nella persona di Lord Louis Mountbatten, che sarebbe stato disposto a prendere in considerazione qualunque piano capace di ribaltare la preponderanza degli U-Boote. Si badi bene: qualunque piano, non importa se pazzo.
Ed infatti, si presentò un pazzo. Tal Geoffrey Pyke, un sedicente inventore appena uscito da un ospedale psichiatrico di Londra. Il suo piano prevedeva la costruzione di una gigantesca portaerei di ghiaccio.
Contrariamente alle aspettative della logicità, sia Churchill che Mountbatten decisero di assecondare questo progetto. Tanto era critico il momento che l’Ammiragliato britannico vagliava tutte le proposte, anche quelle apparentemente impossibili.

E’il momento di aprire una piccola parentesi, anche perché il lettore starà pensando di essere di fronte a un pazzo che scrive e a dei pazzi che cedettero in una simile pazzia. La Seconda Guerra Mondiale vide il proliferare di progetti clamorosi e impossibili da realizzare, più di quello della nave di ghiaccio.
Il raggio esplosivo era uno di quei progetti. Doveva essere una specie di raggio della morte capace di arrestare qualsiasi motore e perfino di incenerire a distanza dei depositi di munizioni. Essendo un piano segretissimo sponsorizzato direttamente da Benito Mussolini, non si conosceva l’identità dell’inventore, ma si vociferava che rispondesse al nome di Guglielmo Marconi. Tutto rimase, appunto, segretissimo. E quando il capo supremo delle SS in Italia, Karl Wolff, volle verificare se ci fosse un fondo di verità, scoprì che era tutta una bufala.
Poi ci furono i palloni volanti giapponesi: piccoli aerostati lanciati dalle coste nipponiche che avrebbero dovuto traversare l’oceano per scaricare il loro carico di bombe sulla West Cost americana. Nel ’44 i Giapponesi misero in atto il piano: solo che dei 9.000 palloni lanciati (ognuno dei quali trasportava 4 bombe) solo poche centinaia raggiunsero l’obiettivo provocando scarsi danni. Soldi buttati.
Infine citiamo l’operazione Barnhard. Il piano, messo a punto dai nazisti, prevedeva di inondare l’Inghilterra con milioni di sterline false che avrebbero provocato caos finanziario e inflazione alle stelle. Il progetto finì in modo inglorioso: solo una minima parte di quel denaro finì in circolazione.
Ecco dunque che capiamo una cosa: in una guerra totale, come mai era stata combattuta e concepita, valeva tutto. Anche una nave di ghiaccio. Ed è per questo che si fatica a trovare delle testimonianze negli archivi segreti britannici.

LA NAVE

Innanzitutto, venne denominato “piano Habbakuk”, uno dei profeti minori dell’Antico Testamento, simbolo del simbolo della giustizia che vince la malvagità.
Poi bisognava trovare una riserva illimitata di ghiaccio lontana dagli sguardi indiscreti. Churchill individuò il luogo giusto nel Canada (paese fidatissimo e amico della Gran Bretagna, ex colonia e membro del Commonwealth), precisamente nella zona del Patricia Lake, in mezzo alle Montagne Rocciose. Per trovarlo sulla cartina dovete cercare dentro allo stato dell’Alberta (regione famosa per i molti ritrovamenti di fossili di dinosauri). Il lago si situa a cinque chilometri da Jasper, un luogo di villeggiatura dove oggi sorgono alcuni resort turistici, incastonato tra foreste, cascate, ghiacciai e canyons. Ci scorre accanto il fiume Athabasca (che prende il nome dagli antichi abitanti indiani). Lì vicino si trovano la Spirit Island, il Maligne Lake, il Marmot Basin.
Per raggiungere il Patricia Lake dalla West Coast si percorre la Transcanada Highway fino a Golden, poi si attraversa il ghiacciaio Columbia e si transita sulla strada panoramica che sfiora le vette delle Montagne Rocciose canadesi. Il lago è relativamente piccolo e si trova a nord di Jasper. Ha la forma di un fagiolo e da sud lo domina una montagna senza nome alta 1200 metri.
Ecco, immaginatevi un luogo fuori dal mondo dominato dai silenzi e solcato dalle tempeste che tra poco vedrà nascere un gigantesco fantasma bianco.

LA COSTRUZIONE

Geoffrey Pyke era rimasto colpito dalla tragedia del Titanic, pur essendo passati quasi trent’anni. A dire il vero, quasi tutta la popolazione mondiale era rimasta di stucco quando seppe dell’affondamento di quel mostro marino di acciaio, ritenuto giustamente inaffondabile. Eppure quel transatlantico era affondato, dilaniato da una montagna di ghiaccio.
Su quell’onda emozionale alcuni ingegneri avevano tentato di eliminare gli iceberg con dell’esplosivo. Invano. I siluri non facevano neanche il solletico a quegli immensi ostacoli cristallini.
Ecco, Pyke pensò: “perché non costruire una nave di ghiaccio? Sarebbe inaffondabile come un piccolo iceberg guidato da mano umana”. Cominciò dunque gli esperimenti e raggiunse la conferma che piccoli cubi confezionati con ghiaccio e pasta di legno potevano resistere alla pressione, anche quella più forte. Poteva sopportare anche gli urti. E, sorpresa, non si scioglievano e neppure si frantumavano facilmente. Quella miscela di ghiaccio e legno venne chiamata pykerite.

Churchill volle provare personalmente la pykerite. Era il mese di novembre del 1942. I bollettini dell’Ammiragliato suonavano a morte: 31 navi affondate nell’Atlantico settentrionale, 9 convogli americani colati a picco, 9 navi distrutte al largo delle coste orientali degli States, 62 unità navali perdute in altre zone, dalle Antille al Sud Africa.
Al numero 10 di Downing Street Sir Winston Churchill si chiude nella sua stanza da bagno e riempie la vasca di acqua bollente. Accanto a lui c’è Mountbatten. Vengono avvolti da una nube di vapore. Rovesciano alcuni cubetti di pykerite nel’acqua fumante. “Vediamo quanto ci mette a squagliarsi” dice Sir Winston, speranzoso e timoroso allo stesso tempo: anche perché lui, nel progetto, ci ha creduto e ci mette la faccia.
I cubetti si sciolgono, ma molto lentamente. La prova è superata. Il 7 dicembre arriva l’ok per proseguire il progetto. Pyke viene informato e non si stupisce. Lui è straconvinto di quel che fa.

Il Canada accetta di buon grado di affiancare i britannici nei lavori, che vengono affidati al capo del National Research Council canadese, Mckenzie. Si tratta di costruire un modello di mille tonnellate mentre la nave vera e propria sarebbe stata realizzata nel Terranova.
Quel Mckenzie stava seguendo, all’epoca, delle ricerche nucleari. Mollò tutto per assecondare il progetto della nave di ghiaccio. Pyke doveva avere una capacità di convincimento unica: allo staff si aggiunsero pure due fisici e un biologo.
Intanto l’unità navale stava prendendo forma. Doveva essere una portaerei lunga 600 metri, larga 90, alta 60 e pesante due milioni di tonnellate. Per muoverla e farla viaggiare a una velocità accettabile di sette nodi sarebbe stata dotata di 26 motori di aereo. Il ponte di decollo e gl’alloggi dei marinai (2.000 uomini di equipaggio) sarebbero stati costruiti in metallo.

Pyke, nel febbraio del 1943, piomba a Washington per portare dalla sua parte Herman Mark, esperto nel campo della neonata tecnologia della refrigerazione, chiedendogli di eseguire alcuni esperimenti sull’esatto grado di resistenza della pykerite.
Siccome Pyke era il tipico genio scapigliato che si lava poco, burbero e einsteinamente pazzo, Mark non lo prese sul serio. Chiese quindi al Pentagono le sue referenze e solo alla conferma che egli apparteneva effettivamente allo staff di Churchill e Mountbatten si convince a lavorare per lui.
Nel frattempo l’inventore matto arriva a Ottawa insieme a Mckenzie e Cook, il biologo. I tre prendono il treno dell’Ovest che attraversa la tundra canadese in direzione della minuscola stazione di Jasper. Il viaggio, intrapreso adesso, sarebbe allucinante. Immaginatevi fatto nel 1943 insieme a un genio esaltato che continua a scribacchiare appunti su tutti i pezzi di carta che trova. Le tasche del suo montgomery traboccano di foglietti mischiati con denaro. Il biglietto del treno lo perderà quasi subito.
Quando finalmente arrivano a destinazione i tre notano che i lavori fervono alacremente. Grandi blocchi di ghiaccio vengono sottoposti a bombardamenti di esplosivo. Intanto prende forma lo scafo (18 metri di lunghezza per 9 di larghezza) rivestito di paratie di ghiaccio isolati con carbonella e materiale refrattario a base di vermiculite. All’interno circolavano i tubi per irrorare di acqua fredda la struttura quando la temperatura si alzava troppo in conseguenza dei lavori.
A metà aprile arrivano i primi risultati compiuti nel laboratorio di Herman Mark a Washington. Era quello che dubitava di Pyke. Eppure il materiale del pazzo, la pykerite, funzionava davvero. Un composto di ghiaccio (90%) e pasta di legno (10%) aveva resistito a urti dell’ordine di tremila libbre per pollice quadrato. Per dare l’idea: un normale scafo si sarebbe aperto come una mela dopo una decina di colpi. Attenzione: erano prove di laboratorio.

Il "pazzo" Geoffrey Pike
Il "pazzo" Geoffrey Pike

Il successo portò alla fase 2 del piano: la prova sul campo. A Jasper venne costruita una porzione di pykerite di una dozzina di metri usando legno di pino. Prima doccia fredda. Quella miscela non sopportava urti superiori a millecinquecento libbre per pollice quadrato: la metà di quanto sperimentato da Mark. Quest’ultimo, informato dell’insuccesso rispose senza batter ciglio: “provate con il legno di abete”. Le cose migliorarono ma senza raggiungere i risultati di tenuta sperati. La nave si sarebbe sbriciolata in pochi minuti in caso di cannoneggiamento. Esperimento finito?

Il biologo del team, Cook, fu il primo a manifestare forti dubbi. Il suo ragionamento partiva dall’osservazione degli iceberg. La parte che spunta è all’incirca un ottavo dell’intera altezza. Una nave fatta di pykerite (ghiaccio più legno) sarebbe stata più pesante dell’equivalente massa di un iceberg, con la conseguenza che non sarebbe mai rimasta a galla.
“Niente paura”, affermò solennemente Pyke, “pomperemo aria nelle viscere della nave per poterla farla galleggiare”.
A Ottawa, però, cominciano a chiedersi se era razionale continuare quel progetto. Il ripensamento veniva soprattutto dai positivi bollettini di guerra. La Germania era in crisi nera, l’Italia stava per arrendersi e il Giappone era costretto sulla difensiva. I Canadesi premevano per concludere il piano Habakkuk e risparmiare ulteriori dispendi di denaro.
Churchill, invece, si era ostinato. Se i Canadesi si fossero tirati indietro si sarebbe chiesto l’aiuto degli Stati Uniti. E infatti così accadde.

LA FINE

I Canadesi passarono la mano agli Statunitensi, che arrivarono sul lago Patricia per prender in mano le operazioni e trasferirle in Terranova. Mountbatten suggerì che Pyke rimanesse nel progetto, ma i nuovi gestori non ne vollero sapere. L’inventore venne rimandato a Londra e con lui svanì il sogno della nave di ghiaccio. Venne meno l’impeto trascinante di quel genio ribelle che emanava una forza di persuasione quasi mistica, disordinato e arruffone ma con idee lucidissime e folli quali solo quelle di un Einstein pazzo possono essere.
I capannoni sul lago silente vennero chiusi, scese la neve e gli operai tornarono a casa. Il Pentagono ventilò la possibilità di continuare il progetto. Ma non se ne fece più nulla.

Geoffrey Pyke, l’uomo che riuscì a portare dalla sua parte Winston Churchill in un progetto assurdo, morì a Londra per una dose eccessiva di sonnifero in una gelida notte di febbraio. Il fantasma bianco aleggiò ancora per molto sulle ghiacciate vette delle Montagne Rocciose canadesi. Non ci fu bisogno di lui.