Andrew Johnson
Andrew Johnson

ANDREW JOHNSON

Figlio del Sud proletario, del Tennessee, l’aveva scelto personalmente Lincoln per accaparrarsi i voti dei sudisti. Dopo il brutale assassinio del presidente, Johnson gli succedette nella carica. Subito si scontrò con il Congresso, dominato dai Repubblicani desiderosi di dare una lezione ai perdenti, riguardo al programma della ricostruzione sudista dopo la Guerra di Secessione. Il personaggio voleva essere autoritario ma risultava solamente prepotente.
Quando, nell’agosto del 1867, licenziò il ministro della guerra Stanton senza l’autorizzazione del Congresso, resa obbligatoria cinque mesi prima, successe un pandemonio. Johnson aveva preso quella decisione con estrema leggerezza: un errore che avrebbe pagato carissimo.
I Repubblicani lo accusarono di aver violato la legge (cosa che aveva fatto) e quindi chiesero la sua destituzione. La salvezza del presidente fu la moglie, Eliza, una donna tubercolotica ma con una incredibile forza d’animo. Convocò a Washington tutti i sostenitori di Johnson e li convinse a sostenere il marito fino alla fine. Poi, con una tenacia e una capacità di convincimento davvero uniche, riuscì a portare dalla sua parte anche alcuni Repubblicani.
La votazione per incriminare Johnson venne fissata per il 16 maggio del 1868: il presidente si salvò per un solo voto e dovette ringraziare la consorte.

Ulysses Grant
Ulysses Grant

ULYSSES GRANT

L’anno successivo, il 1869, salì alla presidenza un repubblicano, Ulysses Grant. Non era un uomo qualunque: era il generale nordista che aveva vinto la guerra. Dunque, godeva di un credito quasi infinito. E infatti si vide durante tutta la sua reggenza.
Gli scandali che lo travolsero furono finanziari. Lo storico Arthur Schlesinger scrisse: “Gli uomini più rapaci ammassarono guadagni illeciti grazie alla rilassatezza della legge nelle città, e in particolare ingrassando sull’espansione dei servizi pubblici”. Grant non era assolutamente un corrotto, anzi. Quando lasciò la presidenza e tentò la fortuna negli affari finì in bancarotta e dovette scrivere una autobiografia per poter ripagare i debiti contratti. Però era molto ingenuo e facilone, ma soprattutto succube della moglie, Julia, la quale aveva accolto nella sua cerchia di “favoriti” due avventurieri, Jay Gould e Jim Fisk, che le aprirono le porte di New York.
Lei, da buona popolana, non era abituata alle luci della ribalta, e quando le fecero vedere il teatro della Quinta Avenue rimase estasiata. Mentre la first lady frequentava i locali più “in” della città dalle mille luci, Gould e Fisk si arricchivano facendo incetta di oro.
Un altro “favorito”, Orville Babcock, invece, ne conquistò i favori decorando gli interni e i giardini della Casa Bianca. Julia Grant ne andava pazza, tanto che premette per farlo nominare ministro dell’edilizia pubblica. Solo che l’uomo era tutt’altro che rispettabile. Venne coinvolto in uno scandalo enorme quando si apprese che ricattava dei produttori di whiskey americani per il proprio tornaconto personale. La fece franca solo perché Ulysses Grant emise una speciale grazia presidenziale. E Grant la fece franca solo perché era un eroe nazionale.

WARREN HARDING

L’editore William Allen White lo chiamava l’”Adone di cera”. Warren Harding era un bell’uomo, aitante, dalla corporatura robusta ed emanava un certo carisma. Le elezioni del 1920 furono tra quelle meno combattute: Harding le stravinse con il 60 per cento dei consensi sul democratico James Cox. I Repubblicani speravano di aver trovato un candidato forte, ma si sbagliavano: era completamente succube della moglie, Florence, e della “Ohio Gang”, la cerchia degl’amici che si era portato appresso dall’Ohio.
Tra questi ultimi figurava Jess Smith, il segretario del ministro della giustizia (altro amico della signora Florence), che vendeva permessi per produrre gli alcoolici agli spacciatori ricercati dalla polizia. La first lady lo sapeva ma manteneva il segreto. Quando lo scandalo venne fuori, Smith si suicidò.
Altro affare molto controverso fu quello riguardante il petrolio. Nel 1921 il ministro della marina Denby aveva trasferito al ministro degli interni Fall la gestione delle riserve petrolifere della flotta. Fall affittò clandestinamente la riserva numero 3 (Teapot Dame) nel Wyoming e un’altra ancora più grande in California a due industriali. In cambio ricevette prestiti senza interessi per 125mila dollari. Fall si salvò pagando solo una multa di 100mila dollari.

LYNDON JOHNSON

L’uomo degli scandali più noti è sicuramente Kennedy. A Boston, da dove proveniva la famiglia, e a Washington, dove aveva già svolto l’attività di senatore, erano già arcinote le sue scappatelle extraconiugali. Il problema è che lui, adesso, era il presidente di una nazione bigottissima.

Però pochi sanno che gli scandali maggiori li soffrì il suo successore, Lyndon Johnson. La sua elezione a presidente, dopo la reggenza seguita all’uccisione di JFK, la ottenne solo grazie alla moglie, Claudia, detta “Ladybird”, cioè Coccinella.
La bomba scoppiò il 7 ottobre del ’64, in piena campagna elettorale. L’uomo di fiducia di Johnson, Walter Jenkins, venne beccato con uno sconosciuto in un bagno di Washington in atteggiamenti poco onorevoli. Jenkins era già stato fermato in circostanze analoghe, ma l’aveva passata liscia. Quella volta si prospettava diversa.
Ladybird non perse la calma. Non riuscendo a rintracciare Johnson, che in quel momento era a New York, prese in mano la situazione stilando di proprio pugno un comunicato che inviò al Washington Post. “Il mio cuore batte”, scrisse Ladybird, “per una persona che è piombata nell’esaurimento nervoso più totale a seguito dell’enorme mole di lavoro svolta al servizio del Paese. Walter Jenkins ha portato sulle spalle pesi inenarrabili da quando Kennedy è stato ucciso, sacrificando il sonno ed il riposo. La nostra famiglia, i suoi amici e spero tutti i cittadini americani, pregano per la sua guarigione”. Il comunicato ebbe l’effetto di una cisterna d’acqua gelata lanciata su un incendio. Smorzò i toni e Johnson vinse le elezioni.