Antonello da Messina
Antonello da Messina

Nel 1550, a settant’anni dalla sua morte, Giorgio Vasari lo inserisce nelle sue Vite ma fornisce pochissime indicazioni precise. Per fortuna da documenti messinesi del primo Novecento sono state ricavate moltissime informazioni utili sulla sua attività: contratti, commesse, obbligazioni. Inoltre è stato possibile ricostruire una parte della genealogia di famiglia.
Oggi dunque sappiamo per certo che il nonno di Antonello, Michele, era proprietario di un brigantino, un piccolo veliero a due alberi, mentre il padre, Giovanni, era un “masonus” cioè un mastro muratore. Per inciso, da quella parola latina deriverà il nome “massone”.
Antonello invece compare per la prima volta ufficialmente nel 1457, maestro di una bottega con la commissione di un gonfalone da eseguire a favore di una confraternita di Reggio Calabria: una tavola devozionale dedicata alla Vergine da inserire dentro ad una grande struttura di legno intagliato.
Dopo questa prima registrazione, di lui non si sa più nulla per tre anni. Riappare nel gennaio del 1460 in un contratto di noleggio di un brigantino stipulato a Messina da padre del pittore: l’imbarcazione doveva recarsi ad Amantea e lì attendere per almeno otto giorni il ritorno a casa di Antonello insieme alla moglie, ai figli e al fratello. Il contratto non dice da dove provenisse il pittore con tutta la famiglia, ma sembra ovvio dedurre che fosse reduce da una trasferta lontana e di lunga durata. Da questo momento Antonello rimane a Messina fino al 1465 ampliando la sua bottega: assume anche il fratello (con contratto documentato) Giordano come apprendista, fa da testimone in vari atti, acquista una abitazione, gli si richiedono altri gonfaloni e icone. La sua prima opera importante risale al 1461: una Madonna commissionatagli dal ricco banchiere Giovanni Mirulla.

Tra il 1465 ed il 1471 il pittore svolge la sua attività in tutta la Sicilia: opere sue documentate sono a Noto, Caltagirone e naturalmente Messina. Le notizie a questo proposito sono poche e frammentarie, così come le sue produzioni. Probabilmente in terra siciliana Antonello si limitava a lavori piccoli, su commissione, fornitigli da ricchi commercianti o nobilotti di provincia, o al massimo chiese e confraternite di limitata importanza. La zona, all’epoca, era al di fuori del grande circuito internazionale dell’arte, che invece vedeva i suoi centri nevralgici a Roma, Firenze e Venezia. Tuttavia il talento di Antonello viene notato da Matteo Colacio, un nobile originario di Nicastro, vicino a Catanzaro, che approfondì i suoi studi universitari nel centro-nord Italia. Autore di numerosissimi scritti e dissertazioni sugli autori latini, in primis Cicerone, probabilmente fungeva da “calamita” per tutti gli artisti meridionali che desideravano uscire dall’anonimato e avere successo.

Proprio Colacio, infatti, lo “propone” ad alcuni nobili patavini e veneziani come ottimo pittore prospettico capace di amalgamare nei suoi quadri l’esperienza rinascimentale italiana con quella fiamminga.
Antonello, tra Padova e Venezia, sceglie di spostarsi nella laguna. Questo è, si capisce, il periodo meglio documentato della sua vita, il più ricco di testimonianze conservate. Dipinge moltissimo: soprattutto ritratti, piccoli quadri da studiolo, dipinti su commissione. In breve tempo diviene celebre. Il suo stile, come detto, assomma i tratti delicati del Rinascimento più puro insieme alla tecnica del colore a olio che era stata inventata nei paesi fiamminghi.
Nel marzo del 1476 Galeazzo Sforza lo vuole a Milano come pittore di corte, ma Antonello tentenna e poi rifiuta. Nel settembre dello stesso anno è documentato ancora in Sicilia, dove paga di persona una rata della dote della figlia. Perché non abbia accettato subito la proposta di Sforza, non si sa. Purtroppo, però, alla fine dell’anno Galeazzo viene assassinato e quindi l’opportunità di lavorare in Lombardia decade automaticamente.

Antonello non farà mai più ritorno nel nord Italia. Ormai la sua bottega a Messina è una delle migliori dell’isola e sicuramente ha fatto abbastanza fortuna. Le sue radici sono lì. Muore nel 1479, a febbraio. Dal suo testamento si evince che effettivamente fosse un uomo molto ricco, dal momento che in una clausola si prevede la liberazione di una schiava etiope.

Ma perché Antonello “imparò” dai pittori fiamminghi? Come arrivarono in Sicilia quelle influenze?
Merito di un “re pittore”: Renato d’Angiò, signore di Napoli dal 1434 al 1442. Egli si interessava personalmente di pittura, anzi soprattutto di miniatura. Ben documentata è la sua collezione, poi tramandata all’interno della casata, si scritti e codici miniati. Aveva una grandissima ammirazione proprio per la pittura fiamminga che in quel periodo stava prendendo piede grazie a Jan Van Eyck (pittore personale del duca di Borgogna).
Renato aveva portato a Napoli Barthélemy d’Eyck, probabilmente della stessa famiglia del grande Jan, autore di numerosissime opere capitali quali l’Annunciazione ora esposta ad Aix en Provence.
Il successore sul trono di Napoli, Alfonso d’Aragona, continuò a privilegiare la pittura fiamminga: raccoglieva personalmente le opere di Roger van der Weiden e Luis Dalmau. Ulteriore conferma di questa predilezione per il mondo fiammingo ci arriva dal biografo di corte, l’umanista Bartolomeo Facio, che scrisse proprio le biografie di Van Eyck e van der Weiden celebrandoli come i pittori più “grandi del mondo” (esagerazione).
La testimonianza più importante sulla presenza fiamminga a Napoli ci arriva però da un altro umanista, Pietro Summonte, che in una lettera del 1524 inviata al veneziano Marcantonio Michiel. Quest’ultimo gli aveva chiesto una relazione sulla storia artistica di Napoli e dell’Italia meridionale e Summonte gli rispose citando proprio i grandi pittori fiamminghi e anche lo stesso Antonello da Messina come uno dei migliori artisti dell’epoca.