Gurdjeff
Il venerabile maestro sta fumando le sue solite sigarette, le Celtiques, mentre gli allievi siedono sulle sedie o per terra aspettando in religioso silenzio.
D’un tratto il maestro si alza e va in cucina dove esplica la sua arte culinaria. La penuria di cibo, nella Parigi occupata dai nazisti, non lo preoccupa. I suoi seguaci setacciano tutta la Francia nella ricerca della cacciagione migliore, dei cereali, della vodka e dell’armagnac (un brandy francese). Il cibo, in casa sua, non manca proprio mai. Gurdjieff prepara le pietanze e le distribuisce agli allievi. Il pranzo si svolge in religioso silenzio. L’unico che può parlare è il “comandante”, designato di volta in volta tra i suoi seguaci. E il bello è che può parlare solo per comandare il brindisi con la vodka.
In breve i bicchieri si vuotano. Tutti inneggiano all’”idiota di turno”. Ogni membro di quella ristretta cerchia si becca l’appellativo di “idiota”. Non ne è dispiaciuto, anzi: aspetta solo di sapere in quale categoria di “idiota” è stato infilato. Ce ne sono di “semplici”, “rotondi”, “a zig zag”, “quadrati”, “senza speranza”.
Finito il rito, cioè il pasto, i seguaci hanno diritto di interrogare il maestro. Nenè Zuber osa domandargli chi é. Infatti, dice, questo allievo piuttosto sveglio, prima di imbarcarmi vorrei sapere chi è il comandante di questa nave. Gurdjieff lo guarda con i suoi occhi taglienti come delle spade. Gli urla in faccia: “E tu, lo sai chi sei”? Il poveretto rimane muto, non sa rispondere. Nonostante abbia quarant’anni suonati, Zuber china la testa e trattiene a stento le lacrime. Potesse, si ucciderebbe all’istante.
Nonostante da alcuni decenni sia passata la moda dello spiritismo e dei dominatori di anime, una parte della popolazione è ancora sensibilissima agli insegnamenti di questi maestri, quasi tutti impregnati di filosofia orientale e di tradizioni misteriofisiche del Tibet. I fanatici che seguono ad occhi chiusi questi plagiatori è ancora foltissima, nonostante siamo quasi a metà del Novecento.
Uno di questi plagiatori si chiama Georges Ivanovic Gurdjieff e questa è la sua storia.
Nato in territorio caucasico, ad Alessandropoli (oggi Gyumri in Armenia), da poco occupato dallo zar di Russia, forse nel 1872, i genitori erano di origine greca, ricchi proprietari di greggi di pecore che si erano spostati ad Oriente per sfuggire dalle angherie dei Turchi.
Alessandropoli é un villaggio abitato da Greci, Armeni ed altri gruppi etnici minori, quindi il ragazzo cresce in un piccolo melting pot di popoli. La terra è arida, il raccolto minuto, le greggi vengono mietute da continue malattie, ma nonostante tutto quei genitori riescono a far studiare il giovane Gurdjieff. Tuttavia né le materie ecclesiastiche né quelle di medicina lo entusiasmano. Spirito libero e ribelle, si mette a percorrere l’Asia alla ricerca di monasteri, eremiti, fachiri, saggi, anacoreti e dervisci. Di questo periodo errabondo non abbiamo notizie se non quelle scritte di suo pugno nella autobiografia “Incontri con uomini straordinari”. Siccome, come impareremo nel corso dell’articolo, è farina del sacco di Gurdjieff, molte cose ci suonano un po’ “bugiarde”. Ad esempio, egli dice che è stato il maestro del Dalai Lama e nel contempo una spia dei Russi.
Le notizie storiche cominciano nel 1915, quando il nostro maestro arriva a Mosca, dove incontra un filosofo e giornalista molto in voga all’epoca: Piotr Deminianovich Ouspensky. Uomo particolarmente amante delle filosofie indiane, ricercava compulsivamente “il miracoloso” in tutto ciò che vedeva. Siccome pare che avesse idee piuttosto condivise riguardo alla trascendenza dell’essere, dell’anima e di altre cose immateriali, Ouspensky cominciò a predicare e scrivere libri, che chiaramente trovarono molti adepti. Con la fama, arrivarono anche i soldi facili, ma lui seppe metterli a frutto.
Nonostante la sua sfrenata ricerca, non gli era ancora riuscito di trovare risposte agli interrogativi sul problema dell’esistenza e della sopravvivenza dell’anima. Nonostante i numerosi incontri con i santoni, i fachiri e i sacerdoti di tutto il mondo orientale, era in un vicolo cieco. Nonostante fosse entrato in quasi tutte le sette indiane, non era riuscito a trovare nulla che lo soddisfacesse.
Gurdjieff, con la sua semplicità, riesce invece a rispondere a tutti i suoi quesiti. Lo seduce intellettualmente e da quel momento Ouspensky diviene il suo primo seguace.
Come abbiamo accennato, essendo molto ricco, può permettersi di organizzare viaggi e conferenze internazionali, ed è quello che fa per Gurdjieff. Londra, Mosca, Costantinopoli, la Francia, diventano mete del nuovo santone.
Ben presto un altro uomo importante diventa suo allievo. Si chiama Thomas de Hartmann, ufficiale della guardia zarista e musicista affermato. Si accosta a Gurdjieff perché lui e sua moglie non se la sentono più “di vivere senza progresso interiore e cercano un mezzo per svilupparsi interiormente”. Anche lui cade nella trappola del grande plagiatore.
Entrambi, Ouspensky e de Hartmann, descrivono il nostro maestro come di colorito bruno, dal cranio rasato, insaziabile bevitore di caffè e con gli occhi penetranti e fiammeggianti.
Il primo incontro tra de Hartmann e Gurdjieff si svolge in uno dei peggiori caffè di Mosca, meta preferita di prostitute. “Se mi avessero visto lì, avrei dovuto abbandonare il mio reggimento” disse in seguito de Hartmann senza pudore. All’appuntamento l’ufficiale zarista ci arriva portandosi dietro mille dollari, come da istruzioni ricevute, che versa nelle tasche del santone. Tuttavia, ottiene le risposte che cerca e convince a moglie a seguirlo nella sua folle strada.
Comincia a formarsi una piccola cerchia di seguaci ch’egli naturalmente spreme fino all’osso rifilandogli una sfilza di panzane. Il regime dello zar lo ignora perché è innocuo, non fa male a nessuno.
Le cose si complicano solo quando arriva la Rivoluzione. Gurdjieff lascia Mosca e si trasferisce in una regione meridionale della Russia, a Essentuki. Lo seguono Ouspensky, de Hartmann e una decina di altri allievi. Da quella cittadina il gruppo si sposta poi a Sochi, a Tbilisi e infine a Costantinopoli. In tutto questo periodo di sollevazioni il maestro dimostra di saper prevedere dove scoppieranno le rivolte e quindi si prende anche la fama di indovino. Ormai detiene la proprietà esclusiva delle menti di quei poveracci, i quali fanno a gara per riverirlo.
Durante il tragitto verso Sochi, dice de Hartmann, c’è da passare attraverso un valico montano. Essendoci un solo carretto trainato da due cavalli, ed essendo questo pieno di bagagli, rimane solo un posto a sedere, quello del guidatore. Naturalmente, è di Gurdjieff. Il quale rimane seduto su quello scranno, in posizione relativamente comoda, per tutte e dodici ore di traversata, mentre la moglie e tutti gli allievi arrancano nel fango. E quando arriva la notte, mentre il gruppo si accampa per dormire, il grande maestro ordina a de Hartmann di vegliare sul campo. E’una delle vessazioni che il plagiatore spiega nella sua teoria del “supersforzo”, che pressappoco dice così: dopo una fatica incessante e sfibrante, dopo ore e ore di logorio fisico, l’allievo deve sostenere un altro sforzo, il “supersforzo”. E, beninteso, questa non è una punizione, ma un trattamento di favore. Infatti, il corpo spossato dalla stanchezza produce spesso improvvise illuminazioni di coscienza.
A Essentuki Gurdjieff comincia a ingrossare la sua cerchia di seguaci. I discepoli, riuniti in uno stanzone, devono compiere movimenti complicati che richiedono grande attenzione e concentrazione, resi ancora più difficili dall’obbligo di contare secondo ritmi poco usuali (ad esempio con cifre decrescenti alternate a crescenti o a multipli). Il suo obiettivo è quello di tenere in allenamento tanto il corpo quanto la mente, e di stancare entrambi. Poi, nel bel mezzo dell’esercizio, arriva lo stop del maestro. Tutti si fermano nella posizione, non importa quale, che hanno in quel preciso momento, e che devono mantenere fino al contrordine.
Una volta un seguace stava versandosi del tè da un samovar bollente. L’ordine di stop arrivò proprio in quel momento, così il poveraccio dovette rimanere per un’ora in quella posizione con la mano che si abbrustoliva. Quando finalmente il maestro diede il contrordine l’arto del seguace era pieno di vesciche.
Il supersforzo, lo stop, l’acquisizione di un linguaggio e di una mentalità diversi, il distacco dall’ambiente sociale di origine, sono tutte condizioni che Gurdjieff richiede per mantenere lo status di discepolo. Egli pretende la massima obbedienza. De Hartmann e la moglie trovano lavoro a Essentuki come insegnanti di musica. Gurdjieff non gradisce questa occupazione e li induce a licenziarsi. Voleva l’annullamento totale della volontà personale e il completo asservimento. Li ottiene entrambi.
Dopo un soggiorno a Costantinopoli, il gruppo di preghiera lascia quelle terre difficili e sbarca a Parigi, la Ville Lumiere, il 14 luglio del 1922, data simbolica della presa della Bastiglia.
Qui Gurdjieff compra un castello con parco ad Avon, presso Fontaineblau. O meglio, si fa compare un castello dai suoi seguaci. De Hartmann, sempre lui, organizza una colletta per racimolare la somma necessaria per l’acquisto del maniero. Ouspenky non partecipa. Ormai segue controvoglia gli insegnamenti del maestro: ne ha abbastanza di lui e vuole staccarsi dal gruppo. Crede ancora nei suoi insegnamenti, ma non accetta più i modi dispotici e totalitari di Gurdjieff. Nonostante ciò non taglia completamente il cordone ombelicale. Si reca a Londra, dove ha degli affari e dei contatti, e organizza degli incontri in cui cerca di spiegare il metodo gurgevista. Fa proseliti tra i borghesi e alcune categorie di popolani, ma solo pochi di questi accettano di raggiungere il grande maestro in Francia. Tra questi pochi c’è anche Alfred Richard Orage, nato nello Yorkshire nel 1873, autore di saggi economici ed editore della rivista The Vew Age. Tutt’altro che uno stupido, dunque. Ebbene, folgorato dal gurgevismo, raggiunge il gruppo di preghiera a Fontainebleu, che nel frattempo si è trasferito nel Castello del Priorato. Orage diviene in breve la testa di ponte tra l’Europa e gli Stati Uniti, che grazie a lui vengono in contatto con gli insegnamenti di Gurdjieff.
In quel Castello Gurdjieff trova modo di approntare uno spettacolo di ballo, “La lotta dei maghi”, un’opera che definire mediocre è eufemistico. Gli interpreti, tutti suoi allievi, diventano dei provetti ballerini, che eseguono perfettamente gli ordini. Il balletto viene rappresentato anche nei teatri degli Champs Elysées, a New York, Boston e Philadelphia, riscuotendo un successo immeritatissimo.
Gli spettatori di quel balletto furono concordi nel notare che i ballerini erano tutti bravissimi e ben addestrati, ma conservavano sempre un’espressione di tremenda tristezza. Questa caratteristica la ritroviamo anche nel Castello del Priorato, sede del gruppo, dove i discepoli vivono in un regime di terrore. Certo: la via che conduce alla conoscenza, secondo Gurdjieff è ardua, tortuosa e piena di sofferenze.
Alle sei de mattino un allievo percorre i corridoi del castello scampanellando. Pochi minuti a disposizione per vestirsi, scendere in cucina a bere un po’ di caffè, mangiare un pezzo di pane e poi tutti al lavoro fino alle sette di sera, con un breve intervallo per il pranzo. Alle otto tutti devono essere pronti e cambiati per la cena e per intraprendere i “movimenti” e le “danze sacre”.
In breve il Priorato diviene meta di pellegrini e aspiranti allievi, tanto che deve essere ampliato. Gurdjieff, amante del lusso, fa costruire anche un padiglione nuovo, detto “la casa dello studio”, ricoperto di tappeti e ornato da una fontana a getti colorati che il maestro spesso profuma con essenze orientali.
Lui, Gurdjieff, non vive nel castello, ma in un appartamentino a Parigi, in affitto, dove svolge i suoi affari e tenere i contatti con il mondo esterno. Compra anche una macchina, che si rivela essere la sua rovina. Il 5 luglio del 1924 subisce un grave incidente con ferite alla testa e alle mani. Si teme per la vita, ma guarisce e prosegue la sua attività. Tuttavia, con l’età e gli acciacchi, ha perso molto del suo magnetismo.
Nel 1933, dopo la morte della moglie, vende il castello e pone fine al gruppo di preghiera. Si ritira in un altro alloggio, sempre a Parigi, in rue du Colonel-Renard. L’insegnamento viene affidato ad alcuni suoi allievi che diventano maestri. Qualcuno di essi, i più fortunati, possono continuare a vederlo.
Cosa rimane oggi del gurgevismo? Poco, pochissimo. Alcuni gruppi di preghiera in Germania, Danimarca, Australia, Svizzera, Svezia. La sua idea fondamentale continua a essere tramandata. E’semplice e chiara: l’uomo non nasce con un’anima, ma se la deve creare nell’arco della sua vita, altrimenti “morirà come un cane”.
Di lui rimane una lapide senza nome nel cimitero di Avon e la consapevolezza di aver influito sulla mente e sul corpo di decine di migliaia di persone.