Capitolo Primo

Nel profondo sud degli Stati Uniti è una afosa sera d’estate. Bellissima, come solo quelle vaporose sere sanno essere nel Tennesse, tra le dolci colline animate da un gracchiante concerto di rane e coccolato dal cristallino bisbiglio di un torrentello.

Quella è una terra martoriata dalle ferite di una guerra durata più di quattro anni, la Guerra di Secessione degli Stati Uniti, che ha causato tante morti tra la migliore gioventù sudista e cambiato per sempre il modo di vivere di coloro che sono sopravvissuti.
In quella sera d’estate sei ombre di cavalieri si stagliano nell’ombra in cima a un declivio. Sembrano ombre di un tempo lontano, perduto e dimenticato, un tempo segnato dall’onore, dal sangue e dall’odio. Indossano mantelli bianchi orlati di rosso, una sacca bianca con dei fori all’altezza degli occhi e della bocca copre i loro volti, mentre in testa indossano un buffo cappello conico.
Uno di loro indica una capanna a fondovalle, a circa un chilometro di distanza. I sei lanciano al galoppo i cavalli, raggiungono quell’umile casa e la circondano.
In quel misero capanno vive un ex-schiavo nero emancipato che è riuscito a comprarsi una piccola bottega a Pulaski, una delle città più importanti del Tennessee. L’ha fatto senza che nessuno gli regalasse nulla, solo col sudore del lavoro suo e della sua famiglia. Però, nell’esaltazione della libertà conquistata, ha avuto la brutta idea di mettere un cartello fuori dal suo negozio con le parole: “Equal Rights”, cioè “Uguali Diritti”.
Il nero sente arrivare i sei cavalieri, esce insieme alla moglie e rimane paralizzato dalla visione di quelle figure venute da un tempo lontano, che lui non ha mai conosciuto. Uno dei cavalieri gli si avvicina e con voce lugubre e strascicata, come se venisse dall’oltretomba, gli ordina: “Negro, portaci da bere”. Lui obbedisce porgendo un bicchiere d’acqua, ma l’altro replica in tono minaccioso: “Non quello, stupido, voglio un mastello”.
Il nero rientra in casa e stavolta ne esce con un secchio ricolmo d’acqua. Il cavaliere lo prende tra le mani e ne trangugia per intero il contenuto, cioè quattro o cinque litri d’acqua. Poi, con un sospiro di soddisfazione, esclama: “Aah, avevo proprio sete. E’ la prima buona bevuta che mi faccio da quando sono stato ucciso nella battaglia di Shiloh”.
Un altro cavaliere si rivolge alla donna: “Tu, negra, vieni qua che ti voglio stringere la mano”. E nell’oscurità protende dal mantello bianco un braccio di scheletro lungo almeno un metro.
I due poveretti urlano di terrore e cercano di fuggire, ma quelle sei figure li hanno già circondati e sguainano dai foderi le spade con gli emblemi della Confederazione. Un altro cavaliere grida: “Ehi, negro, lavora, reggimi questa che sono stanco”. E si stacca dal busto la testa avvolta nella sacca bianca avvicinandola al nero, il quale crolla a terra svenuto. La moglie gli si avvicina implorando pietà, ma i sei cavalieri hanno già tirato fuori le fruste e gli staffili e cominciano a fustigare senza pietà. Vanno avanti qualche minuto, poi sghignazzando e ululando come lupi si allontanano e svaniscono dentro la notte del sud degli Stati Uniti, lasciando di nuovo il proscenio alle rane ed al torrente.

Da quella avventura goliardica nasce il Ku Klux Klan, l’ultimo residuo di un tempo lontano, retaggio della conquista europea del Nuovo Mondo, retaggio di una credenza antica ma sempre radicata nell’uomo bianco: la superiorità della razza.
Quei sei cavalieri sono il capitano John Lester, il maggiore James Crowe, John Kennedy, Calvin Jones, Richard Reed e Frank Mc Cord. Sono tutti ragazzi dell’alta borghesia sudista, figli di giudici, giornalisti, proprietari terrieri. Ma soprattutto sono ex ufficiali dell’esercito confederato, l’esercito sudista. Hanno visto svanire il loro sogno, stanno guardando il loro mondo che si sta lentamente sgretolando, stanno rendendosi conto che il loro tempo è finito e che in quello moderno non ci si trovano più bene. Sono ombre di un tempo lontano, antico, forgiato nell’onore, nel sangue, nell’odio. Sono le ombre di un tempo che fatica a volersene andare anche se tutti sanno essere al tramonto. Alla fine della guerra non hanno seguito il consiglio del generale Lee di tornare alle loro case e cooperare con il nord per costruire un’America migliore. Hanno preferito continuare a vivere dentro il loro passato. Un passato che ritorna ancora oggi.

Le mie pubblicazioni

A vostra disposizione le mie pubblicazioni, buona lettura!

La guerra delle razze

Capitoli

Capitolo Primo

Nel profondo sud degli Stati Uniti è una afosa sera d’estate. Bellissima, come solo quelle vaporose sere sanno essere nel Tennesse, tra le dolci colline animate da un gracchiante concerto di rane e coccolato dal cristallino bisbiglio di un torrentello. Leggi tutto »


Capitolo Secondo

In quell’estate del 1866 i giovani Stati Uniti d’America vivono la loro “terza era”. La prima era ha avuto inizio nel 1776 con la vittoria della Guerra d’Indipendenza contro la madrepatria inglese. Leggi tutto »


Capitolo Terzo

“Devo dire che non sono, e non sono mai stato, favorevole a promuovere in alcun modo l’uguaglianza sociale e politica tra la razza bianca e quella nera: devo aggiungere che non sono, e non sono mai stato, favorevole a concedere il voto ai neri o a fare di loro dei giurati, né ad abilitarli a ricopri Leggi tutto »


Capitolo Quarto

La grande convention del Klan è un successo nazionale. Ne parlano quasi tutti i giornali del sud, ma anche moltissimi del nord le dedicano più di un trafiletto. Leggi tutto »


Capitolo Quinto

La fine dell’Ottocento porta con sé una valanga di contraddizioni all’interno degli Stati Uniti. Leggi tutto »


Capitolo Sesto

Il giovane che guida quel gruppo di neofiti del Ku Klux Klan quell’ultimo giovedì di novembre del 1915 è William Joseph Simmons. Leggi tutto »


Capitolo Settimo

Il 17 maggio 1954 la Corte Suprema degli Stati Uniti decreta l’abolizione della segregazione razziale nelle scuole pubbliche. Leggi tutto »


Capitolo Ottavo

Il Ku Klux Klan sopravvive ancora oggi, nelle frange più deviate e retrive dell’America. Soprattutto nel sud, anche se il fenomeno si è imbastardito di nazismo. Leggi tutto »


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