“Devo dire che non sono, e non sono mai stato, favorevole a promuovere in alcun modo l’uguaglianza sociale e politica tra la razza bianca e quella nera: devo aggiungere che non sono, e non sono mai stato, favorevole a concedere il voto ai neri o a fare di loro dei giurati, né ad abilitarli a ricopri
Parole di Abramo Lincoln, l’apostolo della uguaglianza sociale.
Poi, certo, ci sono altre frasi del grande presidente che vanno da tutt’altra parte: ma sono da registrarsi dopo la giravolta politica seguita all’inizio della Guerra di Secessione. Senza quelle sconfitte nella prima fase del conflitto non avrebbe mai, e ripeto mai, dato alcun diritto alle minoranze nere. L’abolizione della schiavitù (limitata, lo ripetiamo, solo nel sud) fu una decisione presa per colpire al cuore l’economia e la socialità degli stati confederati.
Questo opportunismo politico non sfuggì neppure agli stessi sudisti, i quali anche dopo la fine della guerra rimanevano sempre fedeli ai loro valori e ai loro ideali. Una firma posta su un trattato non avevano cambiato in nulla la loro mentalità. Erano perfettamente consapevoli che la loro agricoltura si basava sulla presenza degli schiavi ed erano altrettanto consapevoli che il nord l’avrebbe sempre tollerata.
Quei sei cavalieri venuti dal passato in realtà, se ben andiamo a vedere, sono attualissimi in quella società rurale del sud che rifiuta le nuove concezioni egualitarie.
I sei amici avevano fondato il Ku Klux Klan il 24 dicembre del 1865 in una vecchia casa del centro di Pulaski (al confine tra Tennessee e Alabama) sia per motivi “ludici” sia per motivi di effettivo razzismo. Le prime sortite sono simili a quella raccontata all’inizio: certo, spietate e feroci, ma non certamente intese a uccidere chicchessia. Anche perché l’eco delle loro “imprese” si ingigantisce e moltissimi giovani del sud, nostalgici del vecchio mondo, chiedono di unirsi a loro.
Dunque, grazie a questa nuova linfa vitale, i sei cavalieri decidono di fare le cose per bene. Ai primi di maggio del 1866 vanno nello studio del giudice Jones, padre di uno di loro, a registrare il nome del loro club privato, il Ku Klux Klan, appunto. Quel nome misterioso, esoterico e lugubre evoca subito immagini gotiche, romantiche, cavalleresche. Viene anche stabilita una gerarchia. Il presidente si chiama Gran Ciclope, il vicepresidente Gran Mago, il maresciallo di campo Gran Turco, il tesoriere Grande Scacchiere.
Coloro che aspirano a farne parte debbono sottostare a un rito di iniziazione particolare: vengono trascinati bendati e legati nel covo, avendo cura di farli sbattere contro diversi oggetti mentre vengono rivolte loro le domande più assurde e inutili. Poi il Gran Ciclope ordina che vengano messi di fronte a un altare (in realtà un semplice specchio) e che gli venga posta in capo una corona (in realtà un cappello di carta con due orecchie tipo asino). Sempre bendati, gli adepti devono pronunciare queste parole: “O Genio, donami il potere di vedermi come gli altri mi vedono”. A questo punto ai neofiti vengono tolte le bende e si trovano di fronte i cavalieri mantellati in fogge apocalittiche, muniti di spadone e fruste, che iniziano una sarabanda infernale di urla, schiaffi, minacce e staffilate.
Spesso queste iniziazioni si concludono con degli scherzacci nei confronti dei poveri malcapitati. Uno di questi ragazzi del sud dall’animo romantico e cavalleresco viene giudicato troppo giovane e troppo poco robusto, così i cavalieri lo portano in un bosco, di notte, e gli ordinando di rimanere immobile, pena un tragico sortilegio. Il credulone naturalmente passa la nottata fermo come un sasso.
La cassa di risonanza delle imprese del Klan è, inizialmente, il PUlaski Citizen, il piccolo giornale della città diretto da Mc Cord, uno dei cavalieri apocalittici. Grazie a lui i cittadini riescono a venire a sapere di questo club privato e le richieste di ingresso si moltiplicano. In più una delle famiglie più in vista della zona, gli Spofford, li sovvenzionano mettendogli anche a disposizione cavalli e armi. Le donne della famiglie, inoltre, confezionano loro dei mantelli con i colori bianco (simbolo della purezza) e rosso (simbolo del sangue che i Klansmen si impegnano a versare per difendere gli “indifesi” sudisti).
In breve tempo il Klan si popola di nuovi affiliati anche perché farne parte significa avere una corsia preferenziale verso il cuore delle ragazze del sud, imbevute di romanticismo alla Walter Scott e sempre sensibili al fascino del cavaliere errante senza macchia e senza paura.
Quelli che invece sembrano curarsene poco sono proprio i loro bersagli, cioè i neri. Dopo la fine della guerra la minoranza di colore ha preso coraggio anche nel sud e chiede maggiori diritti. Ecco quindi che si moltiplicano gli episodi giudicati orribili dai Klansmen: un nero che sul marciapiede non lascia il passo a un bianco, uno schiavo che non vuole tornare nelle piantagioni alle stesse condizioni inumane di prima, un nero che insidia una donna bianca.
I membri del primo Klan di Pulaski se ne accorgono e chiamano a raccolta i loro vecchi commilitoni: il colonnello Davis e il capitano Lester, che ad Athens (Alabama) fondano il secondo covo, stavolta scegliendo un luogo mistico, un bosco, in modo da ricordare il luogo preferito dai vecchi druidi celtici.
Questo covo è gestito in modo decisamente più militaresco, e si vede dalla prima sentenza che viene comminata. Athens, infatti, si è riempita di maestri venuti dal nord, i quali trattano tutti gli alunni in modo uguale, siano essi bianchi o neri. Un giorno, addirittura, si vede sfilare per le vie della città un calesse con a bordo una maestrina bianca in compagnia di un nero. Per i Klansmen questo è un affronto che non si deve tollerare.
Nottetempo il nero viene rapito e portato in un bosco dove subisce un processo sommario. Questi è abbastanza furbo da scusarsi per il “crimine orribile” e promette di non farlo mai più. Giura solennemente, pena l’impiccagione, che non si farà mai più vedere insieme ad un bianco. Inoltre predicherà ai suoi compagni quanto sia assurdo ed irrispettoso pretendere l’uguaglianza tra la razza bianca e quella nera.
I Klansmen sono soddisfatti e lo lasciano in vita. Il nero, nudo e legato ad una fune, viene immerso nell’acqua gelida di un laghetto e a turno fustigato. Poi i cavalieri del Klan lo liberano e gli intimano di non girarsi indietro per guardarli mentre si allontanano, pena il taglio della testa.
Dopo questa prima sentenza sommaria i vari circoli si moltiplicano: nel 1867 sono già diverse decine. Il Ku Klux Klan ha ormai posto le sue radici nel sud e i suoi neofiti si contano in centinaia, forse migliaia. Una buona parte della popolazione bianca li sostiene perché vede in loro gli ultimi baluardi di una resistenza all’oppressione del nord e un argine allo strapotere dei neri, che cominciano in questo periodo ad alzare la testa per chiedere diritti umani.
Nei salotti-bene e nei circoli altoborghesi del sud si parla apertamente di pericolo di rivolta negra, che porterebbe ad una vera e propria guerra tra le due razze. Non si hanno dubbi che vinceranno i bianchi, perché sono superiori in tutto, ma si ha la sensazione che questo conflitto possa essere lungo e sanguinoso. Meglio, quindi, evitarlo estirpando alla radice ogni tentativo dei neri di migliorare la loro misera condizione sociale ed economica.
Questo alibi “difensivo” dà il via ad una serie di violenze perpetrate dai Klansmen che rimangono impunite e ignorate dalle polizie locali, in massima parte solidali con loro. I numeri parlano di più di cento assassini nel 1866, 70 solo nel febbraio del 1867, molte centinaia nel corso del 1868. A Memphis, tra il 30 aprile e il 2 maggio 1867, si scatena una guerriglia nella quale rimangono uccisi 46 neri a fronte di un solo bianco ferito in modo lieve. Lo stesso avviene a New Orleans il 30 luglio: 34 neri uccisi e 200 feriti contro 4 bianchi uccisi e 10 feriti.
A questo punto i sei fondatori del Ku Klux Klan capiscono che la situazione gli è sfuggita di mano. E’necessario indire una riunione tra i vari circoli per elaborare uno statuto ufficiale e stabilire gli obiettivi dell’organizzazione. McCord riunisce un consiglio generale a Nashville il 3 aprile. All’evento intervengono decine di club, molti dei quali ignoti anche agli stessi fondatori. E’una vera e propria invasione quella che subisce la capitale del Tennesse: lo stesso McCord si stupisce di quanto sia radicato il Ku Klux Klan negli stati del sud.
I protagonisti principali diventano in breve tempo John Brown e George Gordon, che rappresentano i “falchi” dell’organizzazione, cioè i rappresentanti più sanguinari ed intransigenti, quelli a cui piace la piega violenta presa dal Klan. In particolare Gordon, ex generale sudista e avvocato di grido, prende in mano le redini della grande convention: prepara un documento di base che viene sottoscritto e firmato dalla stragrande maggioranza degli iscritti, una specie di costituzione parallela.
Il consiglio generale si svolge dal 3 al 10 aprile e il Klan che ne esce è profondamente diverso da quello di prima: è un’organizzazione capillare, un “Invisibile Impero” (come lo definiscono molti giornalisti), uno “Stato nello Stato”. Questo Stato viene suddiviso in Reami (l’equivalente dei singoli stati federali), Domini (corrispondenti ai distretti congressuali), Province (le contee) e i Covi.
La gerarchia diviene meno pittoresca e più rigida. Al vertice troviamo il Grande Stregone con i suoi dieci Genii (i consiglieri); il Gran Dragone del Reame e le sue otto Idre; il Gran Titano del Dominio e le sue sei Furie; il Gran Ciclope del Covo e i suoi due Falchi Notturni; e poi un Grande Monaco, un Grande Scriba, un Grande Scacchiere, un Gran Turco e una Gran Sentinella.
Tutti questi nomi possono sembrare ridicoli e grotteschi, ma bisogna tenere presente che gli Stati Uniti, soprattutto nel sud, stanno vivendo in questa seconda metà dell’Ottocento un revival gotico e romantico. Molte persone benestanti cercano un’evasione fantasiosa dalla monotonia delle industrie e delle macchine che sempre più stanno prendendo il sopravvento nella vita sociale. E cosa di meglio se non storie di cavalieri, druidi, fantasmi, per di più impegnati a difendere le loro radici?
Nello statuto del nuovo Ku Klux Klan viene redatto il documento più significativo, una specie di “Credo” di tutta l’organizzazione, il manifesto ideologico degli appartenenti. Eccone alcuni passi.
“Il Ku Klux Klan è stato creato per rigenerare il nostro sventurato paese e per riscattare la razza bianca dall’umiliante condizione in cui è stata recentemente precipitata dalla nuova repubblica. Il nostro principale e fondamentale obiettivo consiste nel mantenimento della supremazia della razza bianca in questo Paese. La storia e la fisiologia ci insegnano che noi apparteniamo ad una razza che la natura ha gratificato con un’evidente superiorità su tutte le altre razze e che il Creatore ha inteso affidarci un dominio sulle razze inferiori”
“Questa nostra America è stata fondata dalla razza bianca e per la razza bianca, e il tentativo di trasferire questo controllo sulla nazione a favore di razze inferiori come quella negra, va palesemente contro il volere divino e costituisce una violazione della Costituzione americana. L’uguaglianza sociale dovrà dunque essere sempre bandita perché rappresenta un passo pericoloso verso l’uguaglianza politica o, peggio, verso i matrimoni misti e la produzione di una sottospecie di razza formata da degenerati e bastardi”.
“Noi dobbiamo mantenere la purezza del sangue bianco se vogliamo preservarlo al fine di quella naturale superiorità con la quale il Creatore ha voluto nobilitarci”.
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