In quell’estate del 1866 i giovani Stati Uniti d’America vivono la loro “terza era”. La prima era ha avuto inizio nel 1776 con la vittoria della Guerra d’Indipendenza contro la madrepatria inglese.
Era un’epoca ancora pionieristica, visto che i coloni americani erano confinati nelle Tredici Colonie sulla costa atlantica, circondati dagli Indiani, dai Francesi a nord e dagli Spagnoli a sud.
L’acquisto della Louisiana diede inizio alla seconda era americana, che culminò con la vittoria della guerra contro il Messico nel 1848. Il successivo trattato di Guadalupe Hidalgo sancì l’annessione agli Stati Uniti del Texas, della California e del Nuovo Messico, territori che furono subito soggetti ad una copiosa immigrazione di massa sia dai territori americani dell’est sia della vecchia Europa.
Grazie a questa vittoria, ottenuta grazie all’impiego di milizie regolari e con capi dell’esercito già formatisi professionalmente, gli Stati Uniti dimostrarono al mondo di essere presenti come potenza mondiale. Importante sottolineare che il commercio di schiavi, in quegli anni, aumentò in modo esponenziale soprattutto negli stati del sud, quelli rimasti legati ad una economia rurale e agricola, mentre diminuì in quelli del nord, dove cominciavano a svilupparsi le megalopoli e conseguentemente le grandi industrie urbane.
La terza era comincia invece il 4 febbraio del 1861. A Montgomery, capitale dell’Alabama, si riuniscono i rappresentanti degli stati meridionali della Carolina del Sud, del Texas, dell’Alabama, della Georgia, della Florida e del Mississippi, dando vita alla Confederazione degli Stati del Sud e nominando come presidente Jefferson Davis. E’un vero e proprio atto di secessione perché quegli stati non riconoscono più come loro presidente Abramo Lincoln, democraticamente eletto, ma si ribellano in maniera ufficiale.
Come abbiamo accennato appena sopra, le differenze tra i due mondi, il nord e il sud, erano legate all’economia: industriale da una parte e agricola dall’altra. Ma anche e soprattutto al modo di vivere. Al nord si respira già un’aria europeizzata, la borghesia ha ormai preso in mano il potere e le industrie stanno creando, pian piano, un certo livellamento tra le classi sociali. Al sud resistono invece i privilegi dei grandi latifondisti e le enormi differenze sociali tra i bianchi privilegiati (pochissimi) e le classi meno abbienti. Attenzione: spesso si ritiene che negli stati del sud gli schiavi e i poveri in generale fossero solo neri. Sbagliato. Anche nel sud vi sono delle frange di proletariato bianco e spesso si trovano anche bianchi schiavi. Però i bianchi non sono mai considerati al livello dei neri, anche se quei neri sono diventati liberi oppure addirittura commercianti o piccolo borghesi. I neri, anche se benestanti, vengono sempre considerati come una razza inferiore sia dal grande latifondista sia dal piccolo mezzadro che deve piegare quotidianamente la testa davanti al padrone.
Dopo la dichiarazione di Montgomery la situazione rimane in stallo perché nessuno dei due contendenti vuole innescare la miccia. O meglio, la Confederazione avrebbe voluto farlo. Purtroppo per i Sudisti, però, l’esercito confederato era inferiore sia per numero di effettivi sia per armamenti, e anche in modo piuttosto netto. Però la gioventù del sud aveva una grandissima voglia di combattere. I giovani erano cresciuti con i miti dei coloni che devono farsi giustizia da soli, devono cavarsela senza l’aiuto di alcuno, devono essere prima di tutto dei soldati e poi, eventualmente, degli uomini d’affari. Questo porta a una creazione di una generazione di sudisti molto guerrafondaia ma anche coraggiosissima, pronta ad affrontare un nemico nettamente superiore in tutto.
Il coraggio si rivela però essere un’arma a doppio taglio. I sudisti sottovalutano i nordisti perché sanno di essere molto più disciplinati e bravi a combattere (e hanno ragione), sono consapevoli di avere generali migliori (e anche qui hanno ragione) e sono convintissimi che le guerre le vincono gli uomini, non le armi. Ebbene, quest’ultimo fu il loro errore. Effettivamente sino a quell’epoca, cioè sino alle guerre napoleoniche, contavano più le strategie, il livello di preparazione dell’esercito e l’abilità dei singoli comandanti piuttosto che gli armamenti. La Guerra di Secessione sarà il punto di rottura di questa concezione. Sarà la prima guerra dove conteranno le armi, eccome se conteranno, più degli uomini.
La miccia che dà fuoco al campo di battaglia americano si accende il 13 aprile del 1861. Una guarnigione sudista dopo un assedio di due giorni riesce a prendere Fort Sumter, un avamposto di limitata importanza bellica ma di grande rilevanza simbolica perché situato a Charleston, un porto sudista ma fedele al governo ufficiale di Lincoln.
A questo punto il nord dichiara guerra e chiama a raccolta il suo esercito, formato da circa 75.000 effettivi, quasi tutti volontari. La parte nordista, da questo momento, prenderà il nome di Unione.
La dichiarazione di guerra porta altri stati meridionali ad entrare nella Confederazione: il Tennessee, l’Arkansas, la Carolina del Nord e la Virginia (anche se alcune contee rimangono fedeli al nord).
La guerra è fratricida. Spesso si spaccano anche le famiglie: fratelli contro fratelli, padri contro figli, cugini contro cugini. La moglie di Lincoln ha tre fratellastri che combattono per la Confederazione. Un senatore del Kentucky (rimasto neutrale) ha tre figli: due combattono per l’Unione, uno per la Confederazione.
La “macchina” bellica nordista muove i suoi primi passi mobilitando con estrema lentezza i suoi uomini e utilizzando una tattica subito aggressiva. Inutilmente aggressiva. Prima di tutto attua un blocco navale che annullerebbe i rifornimenti dall’Europa, poi cerca delle scaramucce in Virginia.
La reazione sudista è immediata e veemente: l’esercito confederato annienta quello unionista a Bull Run arrivando quasi a Washington, che viene salvata solo grazie all’intervento di altre truppe fresche. Questa vittoria clamorosa e non pronosticabile dà linfa vitale al sud, che vede aumentare i volontari tra le sue fila. I suoi generali, in testa Robert Edward Lee e Thomas Jackson, riescono spesso ad avere la meglio su eserciti nettamente superiori come numero di uomini, ma sapientemente dosano le forze.
Sfiorata la rovina, Lincoln decide di aumentare il reclutamento, spesso ricorrendo alla coercizione obbligatoria anche tra i neri che lavoravano nelle fabbriche. Nel 1862, al secondo anno di guerra, il generale unionista McClellan decide di dare spazio a un grande stratega come Ulysses Grant (futuro presidente) e a un ottimo “secondo” come William Sherman.
A marzo si affrontano per la prima volta nella storia due corazzate nella baia di Hampton Roads, in Virginia, e stavolta vincono i nordisti, che riescono a mantenere il blocco dei rifornimenti. Questo rovescio costa al sud un altro periodo di embargo forzato che giocoforza costringe l’esercito ai razionamenti. Però le truppe sudiste sono formate quasi completamente da uomini capaci di resistere fin quasi allo sfinimento e in aprile il generale Johnston riesce a vendicare le sconfitte subite da Grant fermando l’avanzata nordista verso sud. Solo a Shiloh, in Tennessee, i nordisti sono in grado di battere i sudisti, e sempre grazie al numero soverchiante di truppe.
In estate lo scontro si accende ancora di più grazie a Lee, il generale sudista che ha preso in mano le redini dell’esercito portando a una serie di vittorie importanti, prima tra tutte quella ottenuta a Richmond, durata ben sette giorni consecutivi. Qui l’avanzata di McClellan viene fermata dalla strategia di Lee e al coraggio delle truppe sudiste, che ottengono una vittoria schiacciante. I Confederati lasciano sul campo 20.000 soldati contro i 10.000 dei nordisti, ma almeno Richmond, capitale della Confederazione, è salva e ci si può concentrare su altri obiettivi.
Il primo obiettivo è quello del Maryland, territorio nordista che viene attaccato e quasi invaso dai sudisti, ricacciati indietro con estrema fatica ed enorme tributo di sangue dalle truppe unioniste.
Nell’autunno del 1862, dunque, la situazione di stallo si protrae. Lincoln, attaccato sia dai suoi oppositori sia da molti esponenti del suo partito, prende allora una decisione storica. Il 22 settembre annuncia che, a partire dal gennaio dell’anno successivo, tutti gli schiavi appartenenti a proprietari nemici dell’Unione dovranno considerarsi liberi. Il proclama vuole chiaramente colpire al cuore il tessuto sociale, politico ed economico del sud, tutto basato sulla schiavitù. Con questo decreto Lincoln e il nord si presentano come alleati di tutti i neri d’America.
Questa decisione (storica, lo ribadiamo) viene presa nel momento più difficile della Guerra di Secessione, e ha come unico fine destabilizzare la Confederazione. E’una mossa opportunistica, non dettata da pietà umana, cosa che Lincoln non ebbe mai, verso gli schiavi neri. Unica e sola opportunità politica. E’significativo infatti sottolineare che gli schiavi presenti nei territori del nord e in quelli neutrali siano esclusi totalmente da questo provvedimento.
Non mancano neppure le reazioni delle èlite americane: moltissimi borghesi si oppongono a questa decisione scendendo nelle piazze delle grandi città come Boston, New York, Philadelphia, scatenando violente proteste.
Il decreto tuttavia dà i risultati sperati perché la presenza nera negli stati del sud comincia a far sentire la sua presenza. Moltissimi schiavi scappano, alcuni ammazzano i propri padroni, altri si arruolano tra le fila unioniste. C’è però una parte, considerevole, che rimane fedele ai propri padroni-latifondisti: ne ho parlato in un articolo dei “Racconti di Storia” che fa capire qualcosa di più della mentalità del sud.
Nel frattempo, le vittorie dalla parte nordista continuano a mancare. Lee annienta l’esercito unionista a Frederisksburg e a Chancellorsville, ma in entrambi i casi è il genio del grandissimo generale e il valore dei suoi uomini, inferiori quasi della metà rispetto agli avversari, a fare la differenza. Alla lunga il sud, stremato dal blocco navale, paga dazio a una guerra che tutti immaginavano nettamente più breve (proprio come accadrà con la Prima Guerra Mondiale). La crisi economica morde duramente e la mancanza di nuove reclute porta a dover affrontare il nemico in condizioni spesso quasi disperate.
I nordisti ne approfittano per penetrare ad ovest, lasciato quasi sguarnito, conquistando Vicksburg, nel Mississippi, ai primi di luglio. Nello stesso periodo è la vittoria di Gettysburg, fatale per le ambizioni di guerra d’attacco di Lee, a condannare il sud in modo quasi definitivo. Il generale nordista Sherman da settembre in poi dilaga in Georgia ed in Carolina del Nord conquistando senza grosse difficoltà Wilmington, Charleston, Columbia e Bentonville.
Ai primi del 1865 i Confederati sono presi tra due fuochi: Grant a nord e Sherman a sud. La capitale Richmond cade il 3 aprile pur avendo dato una incredibile prova di tenacia e coraggio grazie ancora una volta alla strategia di Lee. Il 9 ad Appomattox i Confederati firmano la resa definitiva.
Pochi giorni dopo, il 14, Lincoln viene ammazzato a teatro. Ancora si odono gli spari degli ultimi irriducibili sudisti. La Guerra di Secessione è finita: alla giovanissima America è costata 600.000 morti e due generazioni spazzate via.
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