Capitolo Primo

Il Giappone è un impero millenario che non ha mai perso una sola guerra. Questa è la premessa su cui dobbiamo porre le fondamenta del nostro racconto.

Nel 1944, però, ci sono tutti i presupposti per credere che questa imbattibilità straordinaria cada per sempre. Il secondo conflitto mondiale, nell’oceano Pacifico, vede le forze armate nipponiche in ritirata dopo aver conquistato la Manciuria, l’Indocina, il Borneo, parte della Nuova Guinea e la sterminata miriade di isole, isolette e atolli sino alle Aleutine.
Queste ultime appartengono geograficamente al Pacifico, ma amministrativamente all’Alaska, dunque agli Stati Uniti d’America, il grande nemico. I Giapponesi, nella primavera del 1942, sono arrivati fino a quelle lontanissime isole, cioè all’anticamera della West Coast USA. I “bastardi yankee” verranno sconfitti: di questo sono sicuri gli alti papaveri dell’esercito, i monaci, i borghesi, i proletari di tutto il Giappone. Tutto il popolo vuole la guerra, naturalmente per vincerla.
Tuttavia, dopo la battaglia del Mar dei Coralli (6-9 maggio 1942) e quella delle Midway (4-7 giugno 1942), l’avanzata nipponica viene stoppata dalla Marina statunitense. Da allora gli Americani cominciano una rimonta spettacolare che li porta a ribaltare la situazione, da difensiva ad offensiva, anche se in modo molto lento, complice la contemporanea presenza nell’Africa settentrionale e in Europa.
Questa rimonta, mirante ad accerchiare il Giappone, ha un nome: è la strategia del “salto della rana”, ideata dal generale Douglas MacArthur. Consiste nello strappare ai Giapponesi, nella immensa vastità dell’arco pacifico, una isola di qua e un atollo di là, un arcipelago a est e un isoletta a ovest, sempre badando ad annientare le portaerei e l’aviazione nemica in ogni singola battaglia.
Gli States hanno tutti i mezzi per attuare una tattica che nessuna altra marina potrebbe mai utilizzare, nemmeno quella britannica. Ci vuole un dispiegamento di forze gigantesco, difficilmente concepibile addirittura oggi. E’necessario un coordinamento minuziosissimo, reso possibile dalle tecniche radio più sviluppate. Infine, serve una flotta formata da tantissime navi in grado di trasportare decine di caccia.

I “salti della rana” riescono sistematicamente. Il Giappone è disorientato soprattutto dall’immensa vastità di forze navali e aeree a disposizione del nemico. L’industria nipponica, per starvi dietro, deve indebitarsi e lavorare ventiquattro ore su ventiquattro.
Nell’estate e nell’autunno del ’42 si susseguono le conquiste yankee: Guadalcanal, Salomone, Bouganville. I marines americani arrivano il 1° di novembre a 300 km. dalla base nemica di Rabaul (Nuova Britannia), posizione chiave che domina il settore sud-est del fronte. L’ammiraglio Chester Nimitz, comandante supremo del Pacifico centrale, dispone di forze militari straordinarie, completate da 9 divisioni di marines (il reparto di èlite) e una quantità immensa di caccia. MacArthur, comandante supremo del Pacifico sud-occidentale e generale dell’esercito, ha ai suoi ordini 17 divisioni delle quali 6 australiane.
Il piano prevede il “salto della rana” sulle Isole Gilbert, le Marianne, Bonin, Ryukyu, ultimo baluardo giapponese.
Il 20 novembre la strategia si concretizza con la prima vittoria. MacArthur avanza in Nuova Guinea non senza enormi perdite in termini di sangue e ferro delle navi. Dei 4.000 Giapponesi che combattono in quel luogo ne restano in vita 11, e questo dà l’idea a tutti gli ufficiali USA di cosa siano i guerrieri nipponici.
Per evitare di perdere così tante vite americane si decide di passare al secondo obiettivo preparando il campo con un bombardamento terribile alle installazioni ed agli aeroporti delle Marshall. Nimitz comanda la Quinta Flotta, la migliore per armamenti e valore, composta da 15 corazzate, 19 portaerei, 18 incrociatori e 92 cacciatorpediniere. A darle man forte è la Settima Armata Aerea, il Corpo Anfibio del generale Mad Smith, la Quarta divisione dei marines del generale Harry Smith, la Settima divisione di fanteria e una brigata di riserva. La difesa nipponica è affidata all’ammiraglio Akijama.
Il 31 gennaio 1944 i marines vanno all’assalto e la base cade dopo una settimana: dei 7.905 difensori giapponesi rimangono in vita 35. I caduti americani sono, stavolta, 372.

Da qui in avanti è una sinfonia di morte per i Giapponesi, una sinfonia di trionfi per gli Americani.
A giugno arriva la vittoria a Guam, ed è la più significativa dell’intera guerra. Dal 15 al 17 circa 80.000 marines al comando di Raymond Spruance sbarcano sui banchi di corallo di Saipan, nelle Marianne. Sono isolette minuscole, per la maggior parte, ma devono essere conquistate perché costituiranno la base di partenza dei B-29 destinati a massacrare le città nipponiche con bombardamenti sistematici. L’Alto Comando giapponese dà mandato all’ammiraglio Saemo Toyoda di approntare una difesa estrema, impegnando tutte le forze disponibili nella battaglia.
La flotta nipponica schiera 5 corazzate, 9 portaerei, 11 incrociatori e 28 cacciatorpediniere con 473 aeroplani. Le forze americane consistono in 7 corazzate, 16 portaerei, 21 incrociatori e 69 cacciatorpediniere con 959 aeroplani. Questa battaglia, che passerà alla Storia come Battaglia delle Marianne, si protrae dal 18 al 20 giugno e per i Giapponesi è l’Apocalisse. Perdono 4 portaerei in cambio di una sola bomba centrata su una corazzata USA. Perdono 366 apparecchi contro 26.
Cercare adesso i motivi della debacle è inutile: ne parleremo man mano nel corso del nostro racconto. Per ora basta dire che i comandi militari, in mano a storiche famiglie di tradizione bellica, sono molto scarsi nel progettare nuove strategie, e soprattutto devono utilizzare navi e aerei inferiori qualitativamente alla marina USA. Poi, certo, il valore dei Giapponesi non è inferiore a quello americano. Infatti durante la lotta forsennata per la conquista di Saipan si verificano episodi atroci. I difensori si arroccano nelle caverne per continuare a resistenza, ma vengono arsi vivi come dei topi dai lanciafiamme o fatti saltare dalle bombe. Altri guerrieri effettuano delle cariche suicide verso i carri armati. Una folla di civili irriducibili, fedeli all’imperatore nipponico, si raduna su un dirupo che strapiomba sull’oceano, e le madri buttano in acqua i figli, i mariti buttano le spose, i fratelli si buttano insieme alle sorelle. E’un’orgia spaventosa di morte che tinge il Pacifico del rosso di mille cadaveri.

MacArthur prepara la battaglia di Leyte, il vero e proprio spartiacque per la riuscita definitiva del “salto della rana”. Sa che lì i Giapponesi resisteranno davvero fino all’ultima stilla di sangue, fino all’ultima goccia d’olio, fino all’ultima lastra di metallo, fino all’ultimo proiettile. Non si immagina certo cosa stanno preparando i “bastardi musi gialli”.

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La guerra delle razze

Capitoli

Capitolo Primo

Il Giappone è un impero millenario che non ha mai perso una sola guerra. Questa è la premessa su cui dobbiamo porre le fondamenta del nostro racconto. Leggi tutto »


Capitolo Secondo

Il 15 ottobre 1944, di prima mattina, un’animazione insolita regna nell’aeroporto Clark, nelle Filippine occupate dai Giapponesi. Leggi tutto »


Capitolo Terzo

Non pretendo di spiegare il perché degli uomini razionali come i soldati giapponesi abbiano deciso di suicidarsi deliberatamente per una causa che probabilmente sapevano disperata, se non impossibile. Leggi tutto »


Capitolo Quarto

Torniamo ora a quel 19 ottobre 1944. E’ormai sera, e ventitré piloti della 201°squadra vengono convocati dal loro comandante, Usuichi Tamai, il quale ha appena appreso del piano suicida del vice-ammiraglio Onishi. Leggi tutto »


Capitolo Quinto

La battaglia di Leyte, la più gigantesca battaglia aeronavale di tutti i tempi, comincia il 20 ottobre quando i primi marines sbarcano sulle Filippine. Leggi tutto »


Capitolo Sesto

Ai primi di novembre i corpi speciali dei kamikaze sono già decine. Il morale dei giovani piloti, quasi tutti novellini, è alle stelle. Leggi tutto »


Capitolo Settimo

No, naturalmente, ancora nessuno pensa ad arrendersi. Anzi. Leggi tutto »


Capitolo Ottavo

Il 21 giugno 1945 Okinawa appartiene alle forze americane. La campagna, durata 82 giorni, è costata agli yankees 12.300 morti. Ai Giapponesi 130.000. Leggi tutto »


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