Capitolo Terzo - I Vichinghi

Nell’808 Carlomagno si trovò ad affrontare una minaccia apparentemente facile da affrontare.

Veniva da Ribe, un piccolo villaggio situato nella odierna Danimarca, da cui confluivano dei guerrieri giganteschi, poderosi, biondi e villosi: erano guidati da Godofrido, un sovrano particolarmente accorto che aveva creato un piccolo monopolio commerciale nella penisola dello Jutland. Il suo potere si estendeva anche su alcune aree della Norvegia meridionale e su una parte della Svezia. Naturale, quindi, che quel re avesse adocchiato anche la Frisia, all’epoca possedimento franco. Quel territorio era occupato dagli Abadriti, fedeli alleati dei Franchi e abitanti della costa meridionale del Baltico. Godofrido e i suoi soldati distrussero il loro centro più importante, Reric, massacrando la maggior parte della popolazione e deportando la rimanente parte ad Hedeby, un villaggio commerciale nel regno danese. Intraprese inoltre la costruzione di un bastione e di un fossato lungo tutto il confine franco: questo baluardo, un’opera di ingegneria davvero notevole, prese il nome di Danevirke.
Il grande imperatore ebbe il suo daffare a tenere sotto controllo quelle orde di predoni abilissimi a navigare e a combattere con spada e scudo, assetati di oro e di territori. Per fortuna dei Franchi quei predoni erano anche molto litigiosi e subito cominciarono a scannarsi tra di loro dopo la morte di Godofrido. Suo figlio, Horic, ci mise più di quindici anni per riorganizzare alla bell’e meglio i possedimenti di quel piccolo regno danese.
E’da quel momento che l’Europa occidentale cristiana si rende conto della presenza di questi nuovi protagonisti. Si chiamavano Normanni, cioè uomini del nord, ma tra loro si chiamavano Vichinghi, che vuol dire predoni, pirati. E infatti a loro piaceva essere considerati tali. Venivano dalle terre da cui erano discesi, ad esempio, i Longobardi, cioè dalla Scandinavia. Una terra povera, in gran parte sterile, fredda e poco ospitale. A bordo dei loro agili navigli, i drakkar, si mettevano alla ricerca di fortuna, di oro e di terra, ma non avevano la minima idea di come organizzare uno stato degno di questo nome. Erano formidabili soldati e marinai, ma completamente digiuni di civiltà.
Per molti versi somigliavano agli Arabi, che dal VII secolo avevano distrutto l’impero persiano e messo a dura prova quello bizantino. Dalla loro avevano la medesima voglia di conquista. Ma i Normanni, o Vichinghi, non erano spinti dalla religione, bensì dalla fame di terre migliori. Al contrario degli Arabi, poi, non riuscirono mai a creare neppure una parvenza di impero: e questo per una ragione molto semplice. I seguaci di Maometto avevano sottomesso la Persia, una civiltà dalle radici secolari, molta parte dell’Impero d’Oriente (in particolare le province dell’Egitto, del Medio Oriente e dell’Africa), e la Spagna in mano ai Visigoti. Dunque, territori che erano già stati civilizzati dai Romani o dai Persiani. Dai quali, infatti, trassero gran parte della filosofia e della medicina, che poi nel Medioevo ci darà quei grandi intellettuali come Avicenna e Averroé. I Vichinghi, invece, arrivarono in territori come la Russia, le isole britanniche, l’Islanda, la Groenlandia. Territori che erano totalmente fuori dalla civilizzazione romana o, come nel caso della Britannia, in cui quella civilizzazione era ormai un lontanissimo ricordo. Per questo non riuscirono mai a creare un impero unito: in quelle terre non trovarono popolazioni più civili di loro. Trovarono solo prede da conquistare e assoggettare.
Ciò non toglie che la diaspora vichinga abbia portato, nel corso del tempo, delle conseguenze importanti sull’Europa occidentale.

LA GRANDE RICERCA

Ufficialmente le incursioni vichinghe cominciarono nel 793 con il saccheggio del famoso monastero di Lindisfarne, situato sull’omonima isola di fronte alla costa della Northumbria. In poco più di due anni quei pirati arrivarono in Scozia, in Irlanda, nelle Ebridi e nelle Shetland, sottomettendo a poco a poco la popolazione. Nel frattempo dei raid simili si verificavano all’inizio dell’VIII secolo ai confini del Sacro Romano Impero, come abbiamo prima documentato. Un contingente vichingo arrivò persino ad attaccare il monastero dell’isola di Noirmountier alla foce della Loira, in Francia occidentale. Alcuni equipaggi raggiunsero la spiaggia di Terranova, nell’America settentrionale, sei secoli prima di Colombo, non rendendosi conto minimamente di aver scoperto un altro continente. Quegli stessi uomini navigarono poi lungo il corso dei fiumi e raggiunsero gli odierni stati americani del Minnesota e del Michigan, come testimoniano numerosi reperti e incisioni rinvenuti proprio in quelle zone.
I Vichinghi, che oggi sono diventati le star per eccellenza delle serie tv e del cinema, quando si insediavano nelle zone conquistate, diventavano dei mercanti, prendendo il controllo dei porti e delle reti di commercio. Per farlo, dovettero certamente “civilizzarsi” un minimo, ma soprattutto furono costretti a emigrare in buon numero, se non altro per difendere il possedimento. La questione di quanti uomini fossero necessari per una buona incursione è particolarmente difficile da analizzare. La maggior parte degli studiosi tende a pensare che le bande di pirati scandinavi (soprattutto norvegesi) fossero formate da molte centinaia di guerrieri, spesso divisi in tribù che obbedivano solamente al loro capo. Questa idea viene confermata quando si guarda alla nave vichinga esposta nel museo di Oslo, ritrovata nel 1880 nel Vestfold norvegese: poteva trasportare una quarantina di uomini. Considerando che la Cronaca d’Irlanda registra, ad esempio, un raid di due flotte normanne formate da sessanta navi ciascuna deduciamo che il numero di marinai-guerrieri fosse alto, molto più alto di quanto si potrebbe pensare.
Noi ci spingiamo ancora più avanti. All’inizio quelle incursioni furono sicuramente frutto dell’iniziativa “privata” di qualche pazzo spericolato. Poi, però, visto che spesso questi pazzi spericolati tornavano o con dell’oro o con notizie di prede facili da conquistare, quegli attacchi divennero la regola e vennero organizzati a tavolino. Certamente fu un processo abbastanza lento, ma nei secoli VIII e IX era già arrivato a compimento. I Vichinghi che depredarono la Scozia, l’Irlanda, le coste inglesi, il territorio settentrionale del Sacro Romano Impero, avevano delle regole, proprie gerarchie di comando e una tattica ben precisa di insediamento. Che poi non siano riusciti a creare un impero unitario come fecero un secolo prima gli Arabi, è vero: ma abbiamo già spiegato il perché.

I RUS

I Vichinghi non venivano solo dalla Norvegia, dalla Svezia o dalla Danimarca, ma anche dalla Finlandia. Proprio da lì, in un periodo imprecisato della storia (forse a partire dalla metà del 700), mossero i primi conquistatori che gettarono gli occhi sulle foreste russe. Le fonti storiche non ci vengono in aiuto. Quella parte di Europa era totalmente al di fuori del circuito cristiano-occidentale, quindi dobbiamo accontentarci di attingere ad un’opera scritta nel XII secolo, la Cronaca di Nestor, anche chiamata Cronaca degli Anni Passati. L’autore, probabilmente un amanuense di un monastero di Kiev, ci tramanda l’invasione di questi Vichinghi divisi in cinque tribù, comandati da tre fratelli: Rjurik, Truvor e Sineus. A dire il vero fu un’invasione “pilotata”, in quanto questi predoni arrivavano in aiuto della città di Novgorod, che desiderava liberarsi dei Peceneghi e dei Khazari, due tribù alleate particolarmente bellicose che ostacolavano il commercio cittadino. Numerosi ritrovamenti testimoniano infatti che quel centro era davvero notevole sia per ricchezza sia per dimensioni. E certamente i Vichinghi provenienti dalla Finlandia avevano già messo gli occhi su quella preda.
Novgorod, per cercare di tenerseli buoni, dovette sborsare parecchio denaro. Solo che quelle cinque tribù, che vennero chiamate dagli autoctoni col nome collettivo di “Variaghi”, dopo aver sottomesso i Peceneghi e i Khazari, si rivolsero contro gli abitanti di quella città, conquistandola e prendendo possesso di quella rotta commerciale. Che, al contrario di quanto si potrebbe pensare, era davvero redditizia. I commercianti vichinghi esportavano legname, pelli, pellicce, ossa di balena: tutti prodotti che venivano pagati a peso d’oro dai mercanti dell’Impero Bizantino, delle monarchie occidentali e degli Arabi. In particolare sono state recentemente ritrovate moltissime monete d’oro musulmane nelle foreste russe attorno a Novgorod e nei territori limitrofi: ulteriore testimonianza che quella città era divenuta un vero e proprio crocevia internazionale.
I Variaghi, come ora si chiamavano quei predoni-mercanti, avevano stabilito una specie di pace sociale forzata: gli indigeni, cioè i finnici, i balti e i russi autoctoni, potevano tranquillamente commerciare insieme ai loro “colleghi” normanni. Naturalmente, erano di serie B, e quindi correvano spesso il rischio di finire commerciati come schiavi. Generalmente, però, la convivenza era abbastanza pacifica.
Le pellicce erano richiestissime soprattutto dall’Impero Carolingio. Questi prodotti partivano dai porti del lago Ladoga ed arrivavano a destinazione dopo un viaggio di un paio di mesi: le prime spedizioni sono databili alla fine del 700. Con il tempo, poi, questi mercanti senza paura scoprirono vie nuove per arrivare a nuovi mercati. In particolare arrivarono a capire che alcuni fiumi navigabili sfociavano a sud, cioè nel Mar Nero o nel Caspio. Da qui si aprì uno straordinario ventaglio di possibilità commerciali, perché uno di quei fiumi, il Volga, portava dritto verso i ricchissimi califfati islamici che facevano riferimento alla capitale, Baghdad. Doveva essere una metropoli davvero splendida, seconda solo a Costantinopoli. Una corte sfarzosa e raffinatissima richiedeva sempre maggiori comodità e oggetti preziosi, soprattutto esotici. Proprio quella corte era il maggiore “cliente” del neonato Rus, lo stato fondato da Rjurik. Non dimentichiamo, poi, che sempre passando da quei territori i mercanti variaghi si potevano dirigere anche verso Costantinopoli e andare a contrattare con i mercanti bizantini.
Questa rete internazionale di traffici ci fa apparire quei Normanni colonizzatori delle steppe russe in una veste meno brutale e molto più civilizzata. Ed infatti furono gli unici che crearono uno stato vero e proprio, dominato dalla dinastia di Rjurik che continuerà ininterrottamente sino al 1600. Con la ricchezza i Variaghi poterono permettersi di incrementare il loro esercito, sottomettendo praticamente tutte le tribù nemiche. Presero poi possesso di Kiev, un centro nevralgico molto antico, risalente probabilmente al IV secolo d.C., posto in una posizione centrale che permetteva un controllo ancora maggiore dei territori meridionali. Quei territori erano di proprietà dell’Impero d’Oriente, un partner commerciale molto importante ma militarmente schiacciato tra i nuovi padroni del nord, appunto i Variaghi, e gli Arabi ad est. Da quel momento i Russi, come si cominciarono a chiamare gli eredi di Rjurik, misero sotto scacco Costantinopoli, arrivando addirittura ad attaccarla nell’860. In quel caso duecento navi attraversarono il Mar Nero e si presentarono alle porte della metropoli distruggendo il contado. La capitale si salvò grazie all’intercessione della Vergine, come riportano le cronache ecclesiastiche. Più verosimilmente la salvezza è da attribuirsi ad un grosso riscatto pagato agli invasori.

USI E COSTUMI

I Vichinghi ubriaconi e rissosi? Niente di più falso. Le donne normanne considerate esseri inferiori? Assolutamente no, anzi era l’esatto contrario. Gli artisti venivano disprezzati? Ma proprio no. Bisogna fare pulizia di parecchi luoghi comuni portati sullo schermo del cinema o della TV.
La fonte principale da cui attingiamo è l’Havamal, la Canzone di Harr l’Eccelso, un’epopea di autore ignoto nella quale il protagonista, nientemeno che il dio Odino, fornisce una sequenza di consigli e di massime da seguire nel corso della vita.
Il saggio è colui che ascolta ed osserva per istruirsi e tace per non compromettersi. Il buon ospite è colui che sa quando deve partire prima di diventare fastidioso. A tavola non bisogna mostrarsi voraci. Se si è di appetito robusto meglio saziarsi prima di arrivare in casa altrui. Quanto al bere, è necessario mostrare la medesima moderazione: l’ubriachezza è poco tollerata. Si deve bere, certamente, e onorare le feste, ma non esagerare. Bisogna essere fedeli agli amici ed aiutarli in caso di bisogno. E’assolutamente vietato attaccare rissa: solo se si viene provocati si può rispondere con insulti o con le mani. Mai prendersi gioco dei vecchi: possono sempre dare buoni consigli. Gli abiti debbono essere sempre puliti, barba e capelli sempre curati.
In alcune antiche fattorie normanne si trovavano anche dei piccoli bagni termali dove potersi rilassare e praticare la “sauna”. L’ospite poteva, anzi doveva usufruirne, affinchè si sentisse a proprio agio.
I Normanni portavano lunghi pantaloni di lana pesante o leggera a seconda delle stagioni, un mantello, una camicia, un berretto di pelliccia e una spada sempre infilata nella cinta. Nelle numerose sepolture vichinghe si ritrova spesso, insieme a denari e suppellettili, una bilancia: uno strumento utilissimo perché non erano solo pirati, ma anche commercianti a tutto tondo. Questa bilancia serviva per verificare il peso delle monete per poter valutarne l’esatto valore. Ecco perché era uno strumento che accompagnava la vita del Vichingo da quando cominciava la sua carriera da pirata-mercante. Il cavallo, che faceva parte integrante della sua persona e a cui dedicava le massime cure, veniva bardato con boccole di bronzo, speroni sovente dorati o argentei e mantelli sempre sgargianti: la cavalcatura serviva come “presentazione” della ricchezza e della nobiltà del cavaliere.
Anche le donne indossavano mantelli pesanti o leggeri. Le tuniche spesso erano di lino, le cinture meno vistose e pesanti di quelle maschili, ma sempre dotate delle chiavi di casa, a simboleggiare che lì comandava lei. Quando il marito, poi, andava per mare, a lei spettava la gestione della fattoria o del podere. Le donne vichinghe, infatti, oltre ad essere considerate alla stessa altezza degli uomini, potevano permettersi di prendere la parola nelle assemblee e di influenzare le decisioni della comunità. Naturalmente, più la donna era nobile più veniva ascoltata. E per essere nobile bisognava mostrare sfarzosi gioielli, pietre preziose, collane e fibule, magari d’argento o d’oro. La vanità femminile non faceva difetto alle Normanne.
I poeti c’erano, eccome. Si chiamavano skaldi, che significa “suono”, “voce”. I Vichinghi amavano ascoltare le loro composizioni, che potevano essere in metrica o in prosa. Parlavano e raccontavano delle avventure degli dei, gli Asi, delle imprese degli eroi e anche dei loro amori. I più bravi venivano mantenuti nella corte dei sovrani o dei grandi feudatari normanni e godevano di trattamenti di favore. Un palazzo non era tale se non contava almeno uno skaldo: la sua abilità dava lustro al signore della guerra che gestiva un latifondo o una città. E tutta la comunità normanna pendeva dalle sue labbra quando esprimeva un parere sulla condotta di una guerra, su quante navi usare per la prossima spedizione, su dove andare a colonizzare.
Questi skaldi si prendevano delle libertà davvero molto speciali: spesso affibbiavano ai grandi condottieri vichinghi dei soprannomi poco lusinghieri. Ketil, il conquistatore delle isole Ebridi, venne soprannominato “Naso Piatto”, in inglese “Flatnose”. Thorolf veniva chiamato “Barba Pidocchiosa”, Thord “La Pancia”, Eystein “Vento Fetido”. Naturalmente c’erano anche quelli positivi: Ari il Competente, Bjarnhaldr l’Erudito, Oddi l’Astronomo, Bard il Legislatore.
Tra gli skaldi si scatenavano spesso delle vere e proprie guerre verbali. Molti di loro, infatti, davvero poco originali, rubavano i versi agli altri e li spacciavano per propri. Chi veniva “beccato” poteva anche subire pene corporali ed esser cacciato dalla comunità. Eyvind, uno di questi skald ladri di versi, venne soprannominato “Predone dei Poeti”. Audun fu rinominato “Il Cattivo Poeta”. Poi c’era Haldo che fu qualificato dai suoi colleghi come “Sbrodolatore di Versi”, probabilmente per la sua barocchesca abilità a sfornare poesie lunghe ma poco sostanziose (come Marino, per intenderci).

LA RELIGIONE

La prima religione normanna fu quella naturalistica, come per la maggior parte delle popolazioni preistoriche. Adoravano il Sole, la Luna, le Stelle, l’Aurora Boreale, gli animali. Poi si cominciò a preferire le divinità che potevano garantire la prosperità e la fertilità della propria terra e della propria famiglia. Ecco dunque apparire Nott (la Notte), Sumar (l’Estate), Jord (la Terra, la più importante). Questi dèi venivano chiamati “Vani”. La società proto-normanna passava dunque dall’essere basata solo su caccia e raccolta a una società imperniata sulla agricoltura e l’allevamento, quindi meno nomade e più sedentaria. Anche questo un fenomeno sempre presente nella Storia dell’uomo.
Poi, probabilmente intorno al 1500 a.C., in Scandinavia cominciarono ad arrivare delle popolazioni bellicose che sottomisero gli autoctoni e imposero la loro religione, basata sul culto degli Asi (gli dèi supremi), tra i quali troviamo Odino, che sposò Jord (la Terra). Dal loro matrimonio nacque Thor, che simboleggia l’unione tra la vecchia religione contadina basata sulla fecondità della terra e il nuovo culto basato invece sulla potenza e la violenza: lui era il “Padre della Vittoria” perché durante le guerre decideva chi doveva vincere, e anche il “Padre dei Caduti”, cioè colui che accoglieva gli eroi nel suo paradiso, il Valhalla, dove avrebbero brindato e cantato per l’eternità. Questa religione basata sugli Asi si trova in tutta la cultura germanica, ma probabilmente proviene da molto lontano: dall’Asia, come sembra testimoniare la loro etimologia e come ci racconta il principale cronista normanno, Snorri Sturluso, vissuto intorno al 1200 d.C.
Dunque le vecchie divinità, cioè i Vani, dovettero sottomettersi agli Asi secondo un rito di consacrazione e quindi persero la loro supremazia. Arrivarono allora Thor, il dio del fulmine e della tempesta; Loki, il dio furbissimo, approfittatore, ingannatore, attaccabrighe e causa delle sciagure dell’umanità (una sorta di Lucifero); Baldur, il secondogenito di Odino, il dio più bello, simbolo del sole, della benevolenza e della bontà (una figura assimilabile a quella dell’Apollo greco); Heimdallr, il dio guardiano del regno degli Asi.
Nella religione norrena c’era spazio, naturalmente, anche per i sacerdoti. Adamo di Brema parla esplicitamente di druidi che presiedevano ai sacrifici e alle cerimonie nel grande tempio di Uppsala. Questi ministri del culto avevano sia ruoli religiosi che politici: nell’ambito della comunità vichinga la loro parola era spesso equivalente a quella del capoclan. Molto frequentemente si chiedeva loro di profetizzare la riuscita o il fallimento di un viaggio di esplorazione, come altrettanto frequentemente decidevano se e quando cominciare una guerra. Generalmente questi auspici avvenivano nelle grandi aule scaldate da pire e illuminate da miriadi di candele, dove il signore della guerra, la sua sposa, i figli e i guerrieri più importanti assistevano al sacrificio di buoi, capre, tori o pecore. Spesso, poi, tra i sacerdoti trovavano posto coloro che erano nati con delle deformità: ciechi, sordi, muti, esadattili. La società vichinga li proteggeva e li riteneva toccati dalla mano del signore: sempre, naturalmente, se quel sacerdote si dimostrava un buon profeta.
Solo intorno al 700 d.C. i Vichinghi cominciarono ad entrare stabilmente a contatto con i missionari cristiani. Il loro paganesimo accettava di buon grado Gesù Cristo: nel pantheon norreno non c’erano problemi di convivenza. Tuttavia, quella divinità richiedeva un prezzo particolare: doveva essere l’unica, non accettava concorrenti. Qui i Normanni dovettero prendere una decisione, come fecero sempre i popoli “barbari” ai confini dell’Impero Romano: furono costretti a scegliere tra convertirsi e quindi entrare nei ranghi della Chiesa ufficiale oppure rimanere pagani e dunque mantenersi ai margini del mondo sociale. Siccome i Vichinghi, come abbiamo detto, erano non solo pirati ma anche grandissimi commercianti, scelsero la prima strada: quella che conveniva a tutti. Divennero cristiani, e qualche anno più tardi il loro furore guerresco fece molte delle fortune dei Crociati in Terrasanta.

Ecco la presentazione di questi nuovi protagonisti che inondarono l’Europa in quegli anni. Arrivarono in Inghilterra, Francia, Russia e anche in Italia, e dappertutto lasciarono un’impronta indelebile. Ora però è venuto il momento di riprendere il nostro racconto da dove l’avevamo interrotto, cioè dall’anno 888 e dalla morte dell’ultimo erede di Carlomagno, Carlo il Grosso.

Le mie pubblicazioni

A vostra disposizione le mie pubblicazioni, buona lettura!

La guerra delle razze

Capitoli

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